Smontare credenze diffuse è un’impresa. Basti pensare all’espressione “Torino è la città dell’auto”, ripetuta a pappagallo. Lo sa bene Diego Vezza, presidente della Consulta mobilità ciclistica e moderazione del traffico del Comune di Torino. Mentre si fa gran parlare di progetti di mobilità sostenibile, il vicepresidente di Fiab Torino Bike Pride non ha dubbi: “Bisogna incentivare la cultura della bicicletta come mezzo di trasporto, facendo nostra la prospettiva delle grandi città europee”.
Come possiamo fare questo ulteriore passo?
“Intanto, è bene puntare sulla nascita delle nuove piste ciclabili in cantiere grazie al decreto ciclovie. Ciò permette di aprire uno scenario nuovo nell’uso dei mezzi di trasporto e garantisce una nuova possibilità di scelta per i cittadini. Sono tanti i progetti in corso per la creazione di nuove tratte su strada a Torino, come quelle in via Gorizia o Corso Vercelli, dal finanziamento complessivo di 5 milioni di euro”.
Cosa ci può dire sulle piste ciclabili in via di definizione a Torino?
“La maggior parte dei progetti sono positivi e ben disposti: non prevedono la pista al centro del viale, ma al fianco del marciapiede come in Corso Lecce o via Enrico Cialdini. In questo modo è più facile per il ciclista immettersi nel percorso. E poi seguono la larghezza standard minima prevista dal Codice della Strada: 1,5 metri per le piste monodirezionali e 2,5 per quelle bidirezionali”.
L’impressione però è che in città ci siano molte piste ciclabili strette e poco uniformi.
“Come Consulta, le nostre richieste sono creare piste monodirezionali più larghe, di modo che due biciclette possano pedalare anche affiancate, ed evitare le cosiddette ‘ciclabili spezzatino’, che muoiano all’improvviso nel nulla. Tuttavia, il problema è a monte: nella creazione delle ciclabili, si parte sempre da un compromesso al ribasso. La prima domanda negli uffici urbanistici resta ancora ‘Quanti parcheggi per le auto dobbiamo togliere?’”.
Eppure, dal vostro ultimo report emerge che stanno aumentando i torinesi che usano biciclette e monopattini per recarsi sul posto di lavoro o a scuola.
“Da almeno quattro anni, la città sta andando in quella direzione. Con una netta presa di posizione, l’amministrazione può disincentivare l’auto e finalmente favorire un nuovo tipo di mobilità davvero sostenibile. Le critiche sono fisiologiche all’inizio, ma poi tutti si adatteranno”.
Adattamento sì, ma servono anche regole e strumenti concreti per dare atto del cambiamento di mentalità.
“Per questo, abbiamo richiesto più punti contabici da distribuire in città. A Torino ce ne sono 7, posizionati in punti specifici, ma andrebbero triplicati. Per ora non abbiamo avuto alcuna risposta dall’amministrazione. Poi c’è un’evidente carenza di parcheggi per le biciclette: un problema che si può risolvere con la disposizione di nuove rastrelliere in prossimità degli incroci stradali, così che ci sia maggiore visibilità della presenza di ciclisti anche per gli automobilisti”.
Crede che la sfida futura sia allargare le piste ciclabili alla periferia?
“Assolutamente. È necessario orientarci verso un Biciplan allargato a tutta la città metropolitana, non solo incentrato su Torino, considerando la logica del pendolarismo. Negli ultimi due anni ci sono progetti molto importanti come via Lanzo che collega a Venaria, via Tirreno verso Grugliasco e via Emanuele Artom a Nichelino”.
Capitolo ToBike. La posizione della Consulta mobilità ciclistica e moderazione del traffico è stata molto critica.
“Come utenti ammettiamo che negli ultimi due anni il servizio aveva una qualità inefficiente. C’erano biciclette con componenti spesso rotte o inadeguate. A volte poi i sistemi di aggancio alle stazioni non erano perfetti. Tuttavia, dal punto di vista strategico è stato smantellato un progetto pubblico senza un’opzione B. Torino è diventata così una delle poche città europee senza un servizio cittadino di biciclette in sharing fino al 2024. Serviva un bando pronto a sostituire fin da subito ToBike, non lasciando tutta la torta in mano ai soli soggetti privati”.
Restiamo nel mondo sharing mobility. Molti cittadini lamentano i parcheggi di questi mezzi, molto spesso in mezzo ai marciapiedi.
“Il riferimento dovrebbe essere Collegno, che ha creato aree di sosta precise per i mezzi in sharing. L’operatore non dovrebbe consentire la fine del noleggio finché il monopattino non è in un punto specifico. Punti che devono comunque essere diffusi e strategici in città, magari uno per isolato”.