Sul fronte europeo qualcosa si muove – anche se lentamente – riguardo al lavoro giovanile nel periodo di formazione. Stage, apprendistati e tirocini sono al centro del dibattito su un’occupazione che sia retribuita. Un diritto minimo che viene sistematicamente negato tirando fuori l’argomento che chi si forma è ancora troppo poco specializzato per essere pagato.
La proposta di risoluzione del parlamento europeo
A questo aut-aut cerca di rimediare la proposta di risoluzione del parlamento europeo del 9 febbraio, che esplicitamente e per la prima volta “condanna la pratica dei tirocini non retribuiti quale forma di sfruttamento del lavoro dei giovani e una violazione dei loro diritti” e invita la commissione all’adozione di una disciplina comune negli stati membri per garantire un’equa retribuzione. La totale messa al bando, come proposto da un emendamento presentato dal gruppo dei Socialisti e Democratici, è stata respinta per il voto contrario della destra e dei liberali.
Nonostante la proposta sia un invito alla commissione a intervenire – un atto dunque non vincolante – si tratta di un passo avanti. Brando Benifei, capodelegazione al parlamento Europeo per il partito democratico che si occupa attivamente del tema, sostiene che la commissione potrebbe presentare una legge che vincoli gli stati membri a introdurre forme di retribuzione obbligatorie per i giovani durante la formazione. “Siamo in contatto con il commissario europeo per il lavoro, Nicolas Schmit – dice Benifei – affinché si cominci a lavorare su un’iniziativa specifica e concreta al riguardo”. In particolare si fa strada l’ipotesi di una direttiva che dia una disciplina generale, ma obbligatoria per gli stati membri, e che lasci la facoltà di adottare le norme di dettaglio.
La difficoltà maggiore è l’armonizzazione tra i vari paesi, e i primi problemi sorgono nel definire i tirocini. I momenti di attività lavorativa in corso di formazione sono diversi: curricolari, extracurricolari, professionali. In Italia, per gli studenti degli istituti superiori, sono previsti periodi di lavoro in azienda, come l’alternanza scuola-lavoro e i percorsi di Istruzione e Formazione Professionale (IePF). Pratiche ibride e poco regolamentate messe in discussione dalla comunità studentesca, in protesta dopo la morte del 18enne Lorenzo Perelli e del 16enne Giuseppe Lenoci.
Cosa far rientrare, e cosa non, nella garanzia dell’equa retribuzione e dei diritti correlati (come l’assicurazione e il rispetto della normativa anti infortunistica)? “Io dico che bisogna allargare l’ambito di applicazione anche ai tirocini in costanza dei percorsi di studio – aggiunge Benifei – perché il nostro obiettivo è allargare i diritti e il trattamento che si applica sul posto di lavoro a tutti, anche a chi sta imparando il lavoro sul posto di lavoro, e quindi sta lavorando, mentre si forma o mentre studia”.
Elementi culturali (e non solo) che ostacolano la retribuzione
Ma perché è così difficile far passare l’idea che anche chi si forma abbia diritto a essere pagato? Alla base c’è una combinazione di fattori, anzitutto di ordine culturale. Come evidenzia Benifei “in molti ambienti (soprattutto liberali e conservatori) si pensa che il giovane debba espiare la colpa di non avere competenze o esperienza e che, quindi, debba attraversare una sorta di fase di iniziazione e patire per meritarsi l’entrata nel mercato del lavoro”.
La ragione ufficiale è però economica. L’argomento contrario alla retribuzione dei tirocini si basa sul rischio che i costi da affrontare per enti e aziende diventino insostenibili. Il problema sono, però, le condizioni: un giovane che di fatto lavora, e spesso anche fuori orario e con ritmi pesanti, totalmente gratis. Tutto questo sotto il falso ricatto dell’opportunità di fare esperienza, di cui si ha un bisogno disperato per entrare nel mercato del lavoro.
Esiste, insomma, un gruppo di interesse che rema contro la retribuzione, ma ci sono anche esempi positivi. “Moltissime imprese hanno percorsi di formazione, stage, tirocini, apprendistati di alta qualità e remunerati, indipendentemente dalla dimensione”, dice Benifei.
Esemplare è poi il percorso fatto dentro le istituzioni europee, che ogni anno offrono stage retribuiti ai giovani laureati. Per quanto riguarda il parlamento, prima del 2019 un quarto degli stagisti era pagato meno di 600 Euro al mese, mentre l’8% non riceveva alcun compenso. Grazie alla campagna #Fairinternships, promossa dall’Intergruppo giovani in parlamento, gli stage ora prevedono una retribuzione tra gli 800 e i 1313 Euro mensili. I giovani sono ormai abituati a vederla come un sogno che si avvera. La realtà dei fatti è che è il minimo sindacale.