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Cos’è l’alternanza scuola-lavoro? – Lo spiegone di Futura

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L’alternanza scuola-lavoro è diventato uno dei principali obiettivi della recente ondata di protesta studentesche, che ha attraversato la Penisola da nord a sud. Ma di cosa si parla esattamente quando si parla di alternanza scuola-lavoro?

Alternanza scuola-lavoro: in cosa consiste e quali gli obiettivi

L’Alternanza scuola-lavoro è stata introdotta dalla Legge 107 del 2015 (La Buona Scuola), comma 33 al 43, ed è obbligatoria per gli alunni iscritti alla terza, quarta e quinta superiore, licei compresi – si legge sul sito del MIUR, al fine di incrementare le opportunità di lavoro e le capacità di orientamento degli studenti”. La durata del programma è di 400 ore per quanto riguarda il secondo biennio negli istituti tecnici e professionali, e di 200 ore nel triennio per i licei.

L’alternanza si articola in periodi di formazione in aula e periodi di apprendimento mediante esperienze di lavoro in un azienda, allo scopo di migliorare la qualità dell’insegnamento e assicurare una più agevole transizione dalla scuola al mondo del lavoro attraverso il rafforzamento e l’ampliamento della formazione pratica e umana della persona.

Secondo il quadro normativo di riferimento, Il periodo di apprendimento che lo studente trascorre in un contesto lavorativo può essere considerato a tutti gli effetti come un tirocinio curriculare. Infatti, nonostante sia corretto dire che il tirocinio non possa essere identificato con l’alternanza “tout court”, è altrettanto esatto affermare che il tirocinio curriculare sia un momento dell’alternanza, ovvero la fase “pratica” di un percorso didattico svolta dallo studente presso la struttura ospitante.

Non essendo ancora definita una disciplina precisa del tirocinio curriculare, le scuole, nel momento in cui stipulano le Convenzioni con i soggetti ospitanti, fanno ancora riferimento all’art. 18 della legge 196/97 (“Tirocini formativi e di orientamento”) e al relativo decreto attuativo (DM 142/98). Questi i provvedimenti legislativi che definiscono il quadro normativo di riferimento per l’attivazione dei tirocini curriculari per gli studenti.

Tirocini/stage/internship curriculari o extracurriculari: facciamo chiarezza

Innanzitutto occorre precisare una cosa: “tirocinio”, “stage”, “internship”, sono tutti termini appartenenti a lingue diverse (rispettivamente italiano, inglese e francese) usati per indicare la stessa cosa: come si legge nella Raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea su un Quadro di qualità per i tirocini, si tratta di “un periodo di pratica lavorativa di durata limitata, retribuito o no, con una componente di apprendimento e formazione, il cui obiettivo è l’acquisizione di un’esperienza pratica e professionale finalizzata a migliorare l’occupabilità e facilitare la transizione verso un’occupazione regolare“.

Esistono tuttavia tre differenti tipologie di tirocinio:

Il “tirocinio curriculare” è previsto nell’ambito di un percorso definito di studi ed è funzionale all’ottenimento di crediti formativi, necessari per il conseguimento di un titolo di studio. Nel caso dell’alternanza scuola-lavoro ( e di alcuni corsi di laurea), è obbligatorio. Serve sostanzialmente ad applicare in un contesto di lavoro le conoscenze acquisite in aula. Non sono previsti obblighi di retribuzione da parte dell’azienda nei confronti del tirocinante. Secondo quanto si legge sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, per attivare un tirocinio è necessaria una convenzione tra un soggetto promotore (università, scuola superiore, agenzia per l’impiego, centro di formazione, ecc.) e un soggetto ospitante (azienda, studio professionale, cooperativa, ente pubblico ecc.), corredata da un piano formativo. Il soggetto promotore del tirocinio e il soggetto ospitante nominano un tutor ciascuno, che aiuteranno il tirocinante nella stesura del piano formativo, nella definizione delle condizioni organizzative e didattiche, nel monitoraggio del percorso formativo e nell’attestazione dell’attività svolta. 

Il “tirocinio extracurriculare” si svolge al di fuori del percorso di studi (generalmente in un periodo successivo) e ha lo scopo di consentire l’acquisizione di competenze professionali, in vista di un possibile futuro inserimento in azienda. A differenza del curriculare, il tirocinio extracurriculare prevede un’indennità minima obbligatoria per legge, definita dalla normativa regionale di riferimento. Inoltre, non ha carattere obbligatorio ma volontario: è l’aspirante lavoratore a scegliere se richiederlo al soggetto ospitante o meno.

scuola-lavoro
Foto di Andrew Neel

Il “tirocinio professionale” o “praticantato” rappresenta un’ulteriore forma di “apprendimento sul campo” diversa dalle precedenti per scopi e tempistiche. Si tratta di un’attività di pratica professionale, in genere extracurriculare, prevista per l’accesso alla libera professione di alcune categorie specifiche di lavoratori: medici, avvocati, esperti contabili, giornalisti ecc… Viene svolto anch’esso in un contesto aziendale. Ma a differenza del tirocinio extracurriculare, la cui durata va solitamente dai 2 ai 6 mesi, il praticantato dura 18 mesi (ad eccezione delle professioni sanitarie). Al termine di questo periodo il praticante ha diritto ad accedere all’esame di Stato di abilitazione all’esercizio della professione.

Il tirocinio professionale non va confuso con l’apprendistato, che invece, a differenza di tutti i casi esaminati in precedenza, presuppone la presenza di un normale contratto lavorativo tra datore di lavoro e dipendente. Il contratto è a tempo indeterminato, finalizzato alla formazione professionale e all’occupazione rivolto a giovani tra i 15 e i 29 anni. Durante l’apprendistato il giovane presta servizio all’interno dell’azienda per acquisire le competenze necessarie al raggiungimento di una specifica professionalità. Al termine dell’apprendistato, il giovane potrà essere assunto dall’impresa con un contratto a tempo indeterminato proseguendo naturalmente la tua attività all’interno di essa (o meno).

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