“Integrità e imparzialità sono fondamentali per un giornalista, ma non penso che ci sia molta differenza tra le partnership dei content creator sui social e le pubblicità che vediamo sui giornali cartacei e sulle testate online. Anche i news influencer hanno i loro diritti”. Enrique Anarte Lazo, che guida il canale TikTok della Thomson Reuters Foundation a Openly, è intervenuto al Festival internazionale di giornalismo a Perugia.
“Prima hanno iniziato a rubarci le notizie le aziende tecnologiche e molte testate nel mondo hanno chiuso – dice Mercy Abang, ceo di Hostwriter -. Poi abbiamo perso la battaglia anche con gli editori. Ora abbiamo bisogno di prenderci il nostro spazio e di prenderci i nostri soldi. Dobbiamo capire il business del giornalismo più che mai”. Il 55 per cento della nostra generazione dipende dai contenuti social: “Non possiamo continuare a evitare questo mondo, dicendo che non ci riguarda – continua Abang -. Dobbiamo farne parte e capire come funziona. Il giornalismo non considera notizie le storie positive, quindi è normale che esista il fenomeno della news avoidance, anche noi giornalisti ne siamo colpiti. Per questo motivo molti si stanno rivolgendo sempre di più a contenuti diversi, come quelli social, che non sono costantemente negativi”.
Uno studio di Reuters Institute e Pew Research Center ha rivelato che la Gen Z si affida maggiormente alle piattaforme, ai social e agli influencer per informarsi, rispetto ai media tradizionali: i news influencers stanno acquisendo sempre più credibilità. Uno dei problemi legati ai contenuti social è che l’intelligenza artificiale blocca alcune parole, buttando giù le visualizzazioni. “Ora che in Germania è stata legalizzata il Thc non posso usare la parola «cannabis» nei miei video, ma formule più generiche come «una certa pianta». Questo è un problema per me”. Così Johanna Rüdiger, capa della Social Media Strategy del dipartimento di cultura e documentari di Deutsche Welle.
Rüdiger e Lazo non vogliono essere definiti influencer, preferiscono “content creator journalist”: “Noi non influenziamo le persone a comprare qualcosa e questo termine dà una connotazione negativa al nostro lavoro, che è quello di aiutare le persone a capire il mondo – dice Lazo -. L’importante è non rompere la fiducia che ci accorda la nostra community: dobbiamo imparare ad ascoltarla”. I due sono assunti a tempo pieno presso le loro testate, quindi producono contenuti esclusivamente nel loro tempo libero. “La maggior parte dei miei contenuti è per Deutsche Welle – spiega Rüdiger -, quindi non posso monetizzare dai miei contenuti. Non pubblico mai cose personali sul mio profilo, non è questo quello che vogliono vedere i miei utenti. Mi piace che mi seguono per i miei argomenti e non per la mia persona”.