La testata del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino

Le sfide del servizio pubblico fra credibilità e news avoidance

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In un mondo in cui l’informazione è caratterizzata da rapidità estrema e da una miriade di canali di diffusione, i media del servizio pubblico mantengono ancora il loro ruolo nei confronti della collettività? Nate come espressione primordiale di quelli che nella prima metà del Novecento erano i “nuovi media”, radio e televisione hanno affrontato decenni di evoluzione tecnologica mentre l’ecosistema mass mediale si è evoluto in tempi sempre più rapidi, dall’avvento delle emittenti private e commerciali fino all’era di Internet e dei social media. Ecco allora che interrogarsi sul loro attuale “stato di salute” appare quanto mai fondamentale per proiettare il servizio pubblico nel futuro dell’informazione.

Al Festival internazionale del Giornalismo di Perugia Rasmus Kleis Nielsen, direttore del Reuters Institute for the Study of Journalism, modera il confronto fra tre protagonisti del servizio pubblico giornalistico mondiale: Renée Kaplan, direttrice dell’informazione del network Arte, Naja Nielsen, digital director del canale Bbc News e Anne Lagercrantz, vicedirettrice dell’emittente svedese Svt.

Servizio pubblico: rischi e soluzioni

“I media del servizio pubblico godono generalmente di un maggior tasso di affidabilità, contribuendo a combattere la disinformazione”: una “buona notizia” secondo Rasmus Nielsen, da controbilanciare però con pericoli “vecchi e nuovi”. Pressioni e attacchi politici, la morsa della competizione da parte del settore privato e nell’ambito della platform society e il rischio di perdere contatto con il pubblico più giovane, difficile da raggiungere e, soprattutto, da fidelizzare. Un esempio? “La Bbc paga un calo dell’11% in meno in termini di reach delle notizie”, ha detto il direttore del Reuters Institute.

“Credo che il servizio pubblico costituisca le fondamenta di un sistema mediale all’interno del quale devono esistere ovviamente anche media privati, è naturale”. Naja Nielsen sottolinea i punti di forza (“elements of braveness”, come li ha definiti) del network informativo della Bbc: “Operiamo con giovani di talento, mettiamo in campo trasparenza e onestà e quando lavoriamo con i video cerchiamo di di raggiungere il massimo grado di certezza della fonte prima di diffonderlo”. L’abc del gionralismo, certo. Eppure aspetti da non dare per scontati se non si vuol correre il rischio di perdere contatto con la base del pubblico: “All’interno del nostro storytelling inseriamo sempre elementi fondamentali affinché le persone ripongano fiducia in noi, e non solo per il nome che abbiamo. Bisogna sempre mettersi in discussione. Noi ci proviamo, al di là degli attacchi e delle pressioni”.

“Lavorare nel servizio pubblico rappresenta un’opportunità unica e ti offre il privilegio di differenziarti dalle emittenti private”, dice Renée Kaplan, che alla domanda su cosa significa fare servizio pubblico risponde così: “La nostra responsabilità è essere il riflesso della voce delle persone che rappresentiamo, dobbiamo sempre chiederci chi siamo, ovvero ‘chi ci guarda?'”. Del resto, Arte è per definizione un network fondato sulla complessità data dalla sua natura eterogenea: “Siamo un medium europeo, quando pensiamo alla diversità pensiamo alle nostre identità che si incontrano da un confine all’altro. Questo aspetto si ripercuote anche sui nostri lavori, prevalentemente longform artistici e culturali, il cui costo è molto elevato anche per via della loro natura cross-border”.

“I dati mostrano come il 70% degli svedesi riponga fiducia in noi, ma il problema sono i più giovani”. Anne Lagercrantz fa il punto sulla situazione in Svezia, definendo così la fascia d’età compresa tra i 16 e i 29 anni: “Sono utenti giovani nati insieme al digitale, che fruiscono principalmente di video brevi realizzati con storytelling mobile first”. Dagli aspetti introspettivi (“Sono ansiosi, pessimisti per il futuro e passano più tempo con le loro famiglie rispetto al passato”) si passa alle tendenze in termini di consumo informativo: “Notiamo un incremento della news avoidance, il 50% degli under 30 evita le notizie”. Una soluzione, può arrivare dai dati: “Analizziamo in maniera critica i feedback che ricaviamo. Le persone cercano storie positive e informazioni su quello che succede, ma anche giornalismo d’inchiesta: sono questi i settori in cui stiamo investendo maggiormente”.