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Aut-aut tra lavoro e gravidanza: il felice caso di un’azienda dove non c’è

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Può una donna lavorare e, contemporaneamente, essere in stato di gravidanza? Dipende dal datore di lavoro. C’è chi non ha alcun problema nell’assumere una donna che lo scopre prima o dopo la firma del contratto. E, per inciso, non avrebbe alcun obbligo di farlo presente. C’è chi, invece, non assume a prescindere donne in gravidanza, o anche solo in età fertile. Ma una donna in stato interessante è davvero un “peso” per l’azienda?

La storia di Federica Granai, una ragazza di 27 anni della provincia di Pisa è, ancora oggi, solo una bella eccezione. Lavora per cinque anni come responsabile servizio clienti di un’azienda di luce e gas. Ma a metà 2020 c’è aria di licenziamenti, così decide di candidarsi per VoipVoice, un’azienda di servizi internet di Montelupo Fiorentino. “Ho passato egregiamente le selezioni e fatto due mesi di formazione – dice Federica -. Una settimana prima della firma del contratto, però, scopro di aspettare un bambino”. In quel momento la gioia della notizia si mischia all’angoscia per quello che potrebbe succedere: otterrà o no il nuovo posto di lavoro?

“Ho chiesto un colloquio con Simone Terreni, direttore dell’azienda – continua -. Per onestà, più che altro: volevo fargli presente che se fossi stata assunta avrei dovuto chiedere permessi nei mesi successivi, per le visite e le analisi di routine”. Per fortuna, Federica può stare tranquilla: “Mi ha detto che non c’era nessun problema. Per me è stato importante, visti i tempi che corrono mi sono sentita fortunata”. Anche dopo essere stata assunta riceve diverse agevolazioni. In questo modo, può trascorrere una maternità tranquilla: “Per esempio ho potuto lavorare in smart working e godere della possibilità di svolgere meno mansioni”.

L’abitudine a pensare che la vita lavorativa escluda quella affettiva e familiare – e viceversa – è ancora oggi un fardello sulle spalle delle donne. “Anche noi siamo capaci di assumere ruoli di rilievo, ma dobbiamo avere la possibilità di realizzarci al di fuori del lavoro”, aggiunge Federica. “Serve per vivere, sì, ma io non devo vivere per lavorare. Questa è una concezione ormai superata, ed è tempo che la flessibilità sia la regola, negli orari e nelle modalità, per consentire alle donne di fare altro. Tengo ben presente l’obiettivo aziendale – raggiungere l’utile annuale, anzitutto – ma la mia vita non deve girare intorno a questo”. Si chiede spazio, dunque, per la vita fuori dal lavoro.

Il direttore Simone Terreni è d’accordo con la sua collaboratrice. Nell’azienda sono impiegate una quarantina di persone, e le donne rappresentano il 65% dell’organico. “Mi è capitata più volte in passato una situazione simile a quella di Federica: donne neo assunte o in corso di assunzione, che si presentavano in ufficio con un certo timore e mi dicevano di essere in gravidanza. Per me non è mai stato un problema”, racconta. “Se la maternità viene considerata un ostacolo inibiremmo le persone che vogliono fare figli a farli, e questo è assurdo. In più, le collaboratrici che sanno di vivere in un ambiente professionale sereno danno l’anima per l’azienda: raggiungono gli obiettivi programmati perché sanno di essere tutelate”.

A guidare molto spesso la scelta di chi fa impresa a non assumere donne che stanno per (o potrebbero) avere figli, è l’insostenibilità nella gestione delle assenze. Una difficoltà che è dell’azienda e che non può essere scaricata sulle donne. “Penso che questo sia un problema di organizzazione: eccessivamente verticalizzata, in cui pochi ‘hanno le chiavi’ dell’impresa – evidenzia Simone -. Se tutto viene pianificato bene c’è sempre una persona che può sostituire un’altra, in caso di ferie, di malattia o di maternità”. In sintesi ci vuole un’etica diversa, per far sì che il caso di Federica non sia più un’eccezione: “Noi imprenditori siamo i cattivi, in stile film americani con il sigaro in bocca, che vogliono solo fare soldi. Viceversa, concepisco l’azienda come un gruppo di persone che insieme fanno un percorso di vita, oltre che professionale”. VoipVoice opera nel settore informatico, tipicamente “riservato” agli uomini. Anche in questa prospettiva sembra un’isola felice: “Se ho assunto più donne che uomini dipende dal merito, e non dal genere di appartenenza. La maggioranza di chi passa e viene assunto è al femminile perché, evidentemente, ha maggiori competenze”.

Può una donna lavorare e, contemporaneamente, essere in stato di gravidanza? A quanto pare sì. Di buoni esempi ce ne sono. Di pretesti per non assumere le donne non più.

Qui il link alla trasmissione radiofonica “Il Metodo Futura” del 18 maggio, condotto da Ludovica Merletti e Giuseppe Pastore. In questa terza puntata si parla di donne e lavoro.