La testata del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino

Un linguaggio per l’inclusione: il valore della diversità nelle aziende

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“Il concetto di tolleranza implica un’idea di difficoltà, un peso di cui si decide di farsi carico – dice Chiara Zoia, copywriter -. Deriva dal latino e la sua radice è simile a sopportare. Bisogna quindi superare questa concezione, passare oltre ma ricordandosi dell’importanza di questo passaggio, che è necessario. Dobbiamo capire che la complessità e la diversità sono dei valori fondamentali per l’inclusione, anche dal punto di vista economico: come pretendiamo di avere idee dirompenti e outside the box se le persone e le idee che ascoltiamo sono sempre così uguali alle nostre?”. Secondo Sylvia Oberto del Mosaico Azioni per i rifugiati, “il lavoro deve essere fatto a monte, non a valle: altrimenti andremmo avanti mettendo pezze. Invece, bisogna tenere conto delle variabili prima che si verifichino”.

Così Zoia ha aperto l’evento Superare la tolleranza del Salone Off, un’occasione per parlare di inclusione e per presentare il libro di Sambu Buffa, Cambia mentalità in chiave di diversity, equity and inclusion nella tua attività. Secondo l’autrice, la nostra mente pensa in modo binario: “Diciamo di tollerare o di non tollerare, ma quando si parla di diversità il discorso è molto più ampio: dobbiamo togliere i significati dalle parole che usiamo. Perché se diciamo di tollerare ma poi assumiamo un atteggiamento che comunica il contrario è inutile. Si tratta di un viaggio che parte dal significato che diamo alle parole”.

Anche per Zoia il linguaggio è fondamentale: “È il pensiero che forma il linguaggio ed è il linguaggio che forma il pensiero. Quello che nasce per il marketing ha un unico obiettivo: aumentare le vendite. Ciò vuol dire tentare di parlare al più ampio pubblico possibile, includendo così tutte le diversità. Nel mondo dei servizi, invece, c’è un enorme scollamento. Comunicare è faticoso, dice Vera Gheno. Non basta usare la schwa per essere inclusivi. Si tratta di parlare in una maniera comprensibile a tutte le persone: ci vuole semplicità ed efficacia e per questo c’è bisogno di tempo, attenzione e impegno. L’altra cosa da fare è ascoltare”.

Zoia ha qualche idea in questo senso: “Usare il tu può essere una buona scelta per creare delle connessioni che possono rivelarsi risolutive: il lei è una forma di cortesia, ma in realtà non si tratta di cortesia reale e finisce per escludere alcune persone. La stessa cosa succede con il congiuntivo. Con un certo linguaggio si possono invece abilitare altre persone a usare lo stesso linguaggio, cosa che in condizioni di normalità non avrebbero fatto”.

Buffa è una diversity mindset trainer che si occupa di comunicazione e di inclusione nelle aziende. “Abbiamo ancora difficoltà a definire alcuni concetti – dice -. L’inclusione, ad esempio, riguarda esclusivamente le categorie che storicamente sono state marginalizzate. Il privilegio, poi, non è qualcosa di cui sentirsi in colpa: secondo Peggy McIntosh è uno zaino che si trova sulle nostre spalle e ci consente di appartenere alla norma. Il privilegio è una condizione sistemica che ci troviamo a vivere, tutto ciò che sta fuori dalla norma non possiede una serie di privilegi”.

La scrittrice si considera una business ribelle: “Mi piace smontare qualsiasi cosa – spiega -. La mia guida è Nina Simone, che è conosciuta per essere una cantante ma è stata anche un’attivista: i veri cambiamenti si fanno partendo da noi stessi, dal piccolo perché se ognuno di noi iniziasse a compiere un piccolo cambiamento riusciremmo ad avere un impatto concreto che chi sta ai piani alti dovrebbe seguire. Servono persone socialmente responsabili e consapevoli del proprio potere nel cambiare lo status quo”.

Oberto conclude l’evento citando l’ultima strofa di un pezzo di prosa di Giorgio Gaber, Incontro: “Però, come si fa a essere proprio sicuri di non essere neanche un po’ razzisti? Se vogliamo essere proprio sinceri con noi stessi. Quasi tutti sentiamo uno strano senso di minaccia di fronte a qualcuno che è diverso da noi. Ammetterlo con un po’ di vergogna è forse l’unica strada per arrivare alla totale eliminazione del problema”.

Incontro di Giorgio Gaber

Sullo sfondo della presentazione del libro di Buffa c’è lo spazio Pink Coworking: un progetto di associazione Acca, che raccoglie gli enti del terzo settore. “Dopo la pandemia – spiega Caterina Bonora, vicepresidente di Pink Coworking – abbiamo capito che alle persone freelance e soprattutto alle donne freelance serviva uno spazio: poco più di un anno fa abbiamo quindi deciso di creare questo luogo. Siamo partite da una necessità nostra e delle persone attorno a noi e tutto ciò è stato possibile grazie alla collaborazione con la Circoscrizione 1: abbiamo voluto portare il cambiamento dentro le organizzazioni”. Gli appuntamenti organizzati da Pink Coworking sono diversi e tra questi c’era proprio la presentazione di Cambia mentalità in chiave di diversity, equity and inclusion nella tua attività. Per comunicare responsabilmente, devi cambiare dentro.