Ultimo concerto: lo sciopero silenzioso dei club e il grido d’aiuto al pubblico

Sabato sera. Centomila fan collegati. Un’attesissima performance live da 130 club sparsi per tutta l’Italia, con altrettanti artisti pronti ad intrattenere il pubblico per far sentire la voce del mondo dello spettacolo riguardo il terribile anno passato dall’intero settore. Questo “L’ultimo concerto?” doveva essere un regalo alle migliaia di persone che da mesi non hanno modo di assistere ad eventi musicali dal vivo. Nomi di spessore del panorama musicale, quelli coinvolti nell’iniziativa di sabato 27 febbraio: da Diodato passando ai Subsonica, Roby Facchinetti, Ligabue, Caparezza, fino agli Eugenio in Via di Gioia. Ci si aspettava un gran baccano. Ad essere assordante, però, è stato il silenzio che gli spettatori si sono trovati davanti dopo il countdown. 

“Abbiamo denunciato in modo silenzioso quello che stiamo subendo”, racconta Dario Boriglione dal club barese Demodè. Un modo per coinvolgere, per la prima volta, anche il pubblico nel grido di attenzione lanciato dal mondo degli eventi live. “In molti hanno capito la nostra protesta, altri no – spiega Boriglione – ci sono state critiche da chi si aspettava l’evento e non ha capito che l’obiettivo era far vedere quello che siamo oggi: contenitori silenziosi”.

“Vi aspettavate di vedere 130 live, invece vi siete trovati davanti ad un muro di silenzio. Non vi abbiamo preso in giro”

Un messaggio provocatorio. “Creare l’attesa per poi far capire che il live non ci sarebbe stato e potrebbe non esserci più”, aggiunge Gabriele Moroni, presidente Arci Piemonte. “Il tema – prosegue – era proprio uscire da un discorso di addetti ai lavori e cominciare a ragionare in maniera più ampia sul fatto che la musica, la cultura, la promozione culturale non sono attività superflue, ma sono comunque essenziali per la vita delle persone”. 

Queste, invece, le parole dei Subsonica nel post su Facebook successivo all’evento: 

I social tra pro e contro

La risposta social, però, ha spaccato a metà il pubblico tra coloro che si sono schierati con lo “sciopero silenzioso” e coloro che invece avrebbero invocato comunque parole e musica. Questo sia al momento dello “shock” in diretta, sia nei commenti al post appena citato.

“La situazione drammatica è chiara da tempo a tutti (gli usufruitori di musica), ed è stato ulteriormente sostenuto in queste 2 settimane di campagna comunicativa. Stasera avrei preferito decisamente anch’io commuovermi che incazzarmi e sentirmi ripetere per la 100sima volta la stessa cosa. Il risultato è che resto, per l’ennesima volta in questa pandemia, con l’amaro in bocca, triste e deluso. Ed il danno è sempre a carico di chi questa scena la sostiene da sempre, va ai concerti, paga, supporta e pure sopporta ogni tanto. Come fosse sempre colpa mia del disastro che ci circonda. Insomma, per me è stata scelta una via pessima” il commento di un fan del gruppo. Gli fa eco un’altra utente Facebook: “Ho 4 biglietti dello scorso anno, nel cassetto, che probabilmente non vedranno mai la luce. La protesta va bene, ma far sperare noi utenti/fan/sostenitori che in piccola parte, siamo anche noi vittime…boh…non l’ho trovata una mossa molto onesta. Ci speravo da giorni….vabbè”. Su Twitter, le cose non sono andate meglio: 

“Ci sono stati commenti di gente rimasta delusa” osserva Giorgio Crana, tra gli organizzatori di Collisioni Festival e responsabile del circolo piemontese di Cinema Vekkio. “Ma – aggiunge – si dovrebbe capire che il mondo della musica non finisce agli artisti, che sono solo la punta dell’iceberg, ma c’è anche un mondo di lavoratori che nel 2020 ha dovuto reinventarsi. Alcuni hanno anche dovuto cambiare mestiere. Su questo bisognerà sensibilizzare ancora molto”.

Ma c’è anche chi si è schierato dalla parte degli organizzatori: 

E chi, invece, si concede qualche auspicio.

La metà dei club non riaprirà più

Le finalità dell’iniziativa, comunque, sono chiare. Arrivare ad un punto in cui i club siano equiparati a luoghi di cultura, come lo sono i teatri, i cinema, i musei. Sì, perché sono stati più di 15mila gli eventi annullati da questo settore, che ha accusato più di 50 milioni di euro di mancati incassi. Una media di 332mila euro per ogni live club italiano. 63mila euro, in media, i costi fissi sostenuti da ognuno, per un totale di oltre 10 milioni. Il 49% dei club italiani non sa se riuscirà a riprendere la propria attività al termine del periodo pandemico.

Ognuno cercherà di resistere, ma “siamo consapevoli di essere arrivati alla fine”, ci confida dal Demodè di Bari, Dario: “I ristori non sono molto adeguati per il fabbisogno di un club, se ci fossimo appoggiati solo su quelli saremmo già falliti. Adesso vogliamo delle risposte”. 

Ora che il segnale, forte, è stato mandato in maniera chiara ed eclatante, gli organizzatori hanno già la mente orientata al Prossimo Concerto. Che secondo loro non ci potrà essere, come non potrà esserci una ripartenza, “se questa non sarà preceduta e accompagnata dalla sostenibilità e dal riconoscimento specifico per i Live Club, richiesto da tutta la categoria a gran voce da diversi anni”. Vanno riconosciute le particolarità organizzative e programmatiche degli spazi costituiti dai club, che non godono di riconoscimento e misure di sostegno permanenti. Il comparto, dicono sul proprio sito, “non potrà aprire con capienze ridotte”, anche se ciò solleva naturalmente dubbi sulla sicurezza.