Turismo, le perdite da Covid non risparmiano Airbnb

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Il turismo barcolla sotto i colpi delle chiusure per Coronavirus e lo tsunami che colpisce tutto il comparto non risparmia il fenomeno delle locazioni a breve termine – cioè degli affitti di appartamenti e ville per le vacanze attraverso agenzie e piattaforme online. E così anche gli affittuari temporanei che avevano trovato nuovi ricavi attraverso Airbnb e altri protagonisti del mondo digitale, oggi contano i danni procurati dalle misure di contenimento del Covid.

Un trend confermato anche da Vincenzo Nicastro, presidente dell’associazione Host Italia: “Abbiamo commissionato un’indagine su tutti gli annunci di unità immobiliari presenti sul portale Airbnb in località Torino città, comparando la situazione di marzo, nel periodo immediatamente precedente il lockdown, con quella di settembre; per farlo ci siamo serviti del data-set fornitoci dalla società d’analisi indipendente Airdna. Dalle nostre rivelazioni è emerso che, nel periodo preso in considerazione dallo studio, il decremento degli annunci visibili ammonta a 444 annunci, registrando un -14% rispetto alla situazione iniziale. Un’ulteriore conferma della riduzione di locazioni disponibili sulla piattaforma deriva dal numero di immobili ancora formalmente presenti sul sito, ma con le prenotazioni chiuse fino a fine 2020, che sono ben 816 (31%), e perciò portano il totale degli annunci non più disponibili per prenotazioni a 1441 (oltre il 44%). Non dovesse bastare, nello stesso periodo, i cosiddetti multi-host, ossia gestori di oltre 5 annunci, sono passati da 24 a 20, per un totale di 254 annunci gestiti (9,6%): erano 310 (10,2%) a marzo”. 

Pensare di ripartire con la pandemia in corso è un progetto ambizioso, ma si può tentare. A questo è dedicata la nostra inchiesta di comunità che sta affrontando le conseguenze del Covid-19 su alcuni settori chiave come turismo e commercio, intrattenimento, sport e spettacolo. E per questo siamo alla ricerca di storie.

La crisi di Airbnb

Il modello di business sul quale la società fondata da Brian Chesky e Joe Gebbia ha edificato le proprie fortune (che, fino a qualche mese fa, veniva annoverato tra i più invidiati nel ristretto club degli Unicorni della Silicon Valley) è stato messo duramente alla prova dall’esacerbare della pandemia, fronteggiando la crisi più grave della sua storia. A confermarlo sono i dati a nostra disposizione: a livello globale, nei primi tre trimestri dello scorso anno, Airbnb ha riportato entrate per 2,5 miliardi di dollari, registrando un calo netto rispetto al fatturato del 2019, che si attestava a 3,7 miliardi. 

Per tamponare l’emorragia, la società ha dovuto operare dei tagli strutturali che hanno prodotto riverberi significativi in tutti i settori aziendali, in primis sul personale: il 25 per cento dei dipendenti della compagnia è stato licenziato e, secondo il Financial Times, il valore stimato della piattaforma sarebbe precipitato del 16%, passando dai 35 a 26 miliardi di dollari. La svalutazione ha indotto i vertici aziendali a procrastinare la data della quotazione in borsa, attesa da Wall Street come l’evento della stagione. Tuttavia, il debutto sul mercato finanziario ha superato ogni più rosea aspettativa: lo scorso 10 dicembre, Airbnb si è presentata sul listino Nasdaq con un prezzo di 68 dollari per azione, superiore rispetto al valore atteso nei mesi scorsi che si attestava in una forchetta tra i 44 e i 50 dollari. A preoccupare sono soprattutto le perdite economiche subite dai titolari degli annunci: a marzo, l’azienda californiana aveva annunciato la predisposizione di due fondi di garanzia, uno di 250 milioni di dollari da riservare agli host e uno da 17 milioni di dollari diretto ai soli superhost, ossia i detentori di uno status speciale negli equilibri della piattaforma, che può essere acquisito attraverso l’adempimento di alcune condizioni particolari (tra cui l’aver registrato un tasso di cancellazione di prenotazioni inferiore all’1%). Tuttavia, l’azienda non ha divulgato dati disaggregati utili per stimare l’esatto ammontare di questi aiuti, inciampando, secondo alcuni, in un difetto di trasparenza (ad esempio, Altreconomia aveva provato a ottenere delucidazioni in merito dai referenti della succursale italiana del colosso, senza però riuscire a ottenere riscontri significativi).

Le testimonianze degli host torinesi

Come da previsioni, la crisi che ha travolto il business degli affitti a breve termine ha interessato anche il nostro paese. Il blocco del terziario, le limitazioni agli spostamenti e la chiusura delle frontiere hanno lasciato migliaia di case vuote e molti proprietari hanno deciso, giocoforza, di cancellare i propri annunci su Airbnb e tornare ad affittare a lungo termine: una scelta forse meno profittevole ma, in alcuni casi, obbligata. 

Torino non ha fatto eccezione: “Se dovessi quantificare le perdite, le stimerei in un 90% abbondante. È stata un’esperienza totalmente negativa”, sostiene Alessandra (nome di fantasia), proprietaria di due appartamenti in zona Porta Palazzo. “Il blocco degli spostamenti ha influito negativamente, azzerando entrate extra che, nel mio caso, rappresentavano una boccata d’ossigeno essenziale. Ho patito in quanto proprietaria perché, chiaramente, ho dovuto far fronte alle spese da pagare in assenza di qualsiasi introito. L’host a cui ho affidato la gestione del mio appartamento ha ricevuto prenotazioni nel solo mese d’agosto: è stato un gioco a perdere”.

Dello stesso avviso anche Mariarosa, titolare di un appartamento nell’albese: “Sono andata in perdita subito, perché le persone hanno iniziato a annullare le prenotazioni già da metà febbraio. D’estate è andata leggermente meglio e le prenotazioni sono aumentate, soprattutto in occasione della fiera del Tartufo, ma a ottobre la situazione è tornata a peggiorare”.

Quelli di Alessandra e Mariarosa non sono casi isolati: secondo i dati pubblicati da Otex, un osservatorio sul turismo residenziale extra-alberghiero, il giro d’affari degli affitti a breve termine nelle principali città italiane si è ridotto di circa il 70% nei mesi di aprile, maggio, giugno e settembre, mentre luglio e agosto hanno segnato perdite minori; ciononostante, nei prossimi mesi la prospettiva è ancora di forte calo.

Lo studio di Host Italia

Sui destini del turismo torinese, Nicastro non ha dubbi: “L’ultimo rapporto Rota ha evidenziato una situazione drammatica per l’industria turistica locale: Torino presentava già una serie di fragilità in termini di collegamenti interni, rapporti con tour operator e politiche di marketing territoriale, ma l’attuale amministrazione è riuscita nell’impresa di aggravare un gap già piuttosto ampio”.