Nella giornata che segna un “terremoto sportivo” tra i più massicci degli ultimi anni – a seguito dello strappo dei 12 club più virtuosi del panorama calcistico europeo che hanno aderito al progetto della Super League, scatenando le reazioni tempestive da parte di Fifa, Uefa e leghe nazionali – anche Torino trema. La Juventus, insieme a Inter e Milan, figura tra le italiane che entreranno a far parte di questa cerchia molto ristretta. Una delocalizzazione delle regine del calcio nazionale che promette di generare effetti senza precedenti sul piano sportivo, economico e politico, anche in un’ottica locale. Di questo e non solo abbiamo parlato con Mauro Berruto, ex commissario tecnico della nazionale maschile di pallavolo e nuovo membro della Segreteria Nazionale del Partito Democratico, che sembrerebbe essere avere individuato nel torinese uno dei papabili candidati a correre come candidato sindaco del centrosinistra alle prossime elezioni comunali.
Come commenta la notizia dell’adesione della Juventus e delle maggiori squadre europee alla Super League?
Dal punto di vista sportivo, siamo di fronte a una dichiarazione di guerra. L’operazione si connota come una rivoluzione dei ricchi, di pochissimi decisori che stanno decidendo la sorte degli altri. Una scelta mossa per la maggiore da motivazioni di carattere economico. Non c’è dubbio che il modello sportivo abbia bisogno di correttivi, come richiedono alcuni dei club che hanno aderito alla separazione. In Italia per esempio, si potrebbe discutere sulla riduzione del numero delle squadre di Serie A. Ma questo modello, simile per certi versi a quello dell’Nba, va applicato in tutto lo sport: vanno ridisegnati i programmi sportivi delle scuole e delle università, va inserito il draft e, soprattutto si dovrebbe lavorare per aprire al diritto degli sportivi di esprimere le proprie opinioni anche sulle tematiche sociali. Si pensi ancora al basket americano, dove l’Nba è stato uno dei principali spazi di protesta per i diritti civili. Non ho dubbi che una scelta del genere possa produrre valore, bisogna vedere però se e come questo verrà distribuito con responsabilità. Un altro fattore è il tempo: per certi versi, la notizia di oggi mi è sembrata un’operazione in cui ogni parte spara più in alto possibile. Mi aspetto che si sviluppi una trattativa.
Cosa comporterebbe, secondo lei, una scissione di questa portata per la città ?
Per Torino, quanto potrebbe realizzarsi mi rimanda a quanto avvenuto con il passaggio da Fiat a Fca. La delocalizzazione di un caposaldo della storia del calcio come la Juventus, rappresenta senza dubbio un grande problema e una sfida per la prossima amministrazione. Oltre alle possibili ricadute economiche, c’è il rischio sociale: quello di uno scollamento tra lo sport dei vertici e la base cittadina . È come se Torino spostasse il Museo Egizio. Ciò vale per la nostra città come per l’Italia in generale. Lo sport è cultura, e ha a che fare ogni giorno con la vita di 15 milioni di persone.
L’evento di oggi ha aggiunto un nuovo dossier alle sfide che attendono la futura amministrazione della città. A che punto è la strategia del Pd su Torino?
In vista delle elezioni, l’assetto politico di Torino ha visto per lungo tempo un fronte compattato a destra. Sull’altro verante, sono stati mesi di dialogo. Io sposo chi sceglie il dialogo, ma ora è tempo di trovare una sintesi. Dopo la visita di Francesco Boccia, responsabile degli Enti locali per il Pd, le carte sono tutte sul tavolo. Credo che chi sarà chiamato a ridare una visione alla nostra città, che arriva da 5 anni molto complicati, dovrà combattere coltello fra i denti.
Sente di poter essere lei la persona in questione ?
Sono a disposizione in qualunque ruolo per partecipare al percorso convergenza di una vera coalizione di centrosinistra, una realtà in cui le parti siano capace di rinunciare a un pezzo di se’ per l’identità collettiva, come avviene nella formazione di una squadra. Non possiamo permetterci di lasciare altro spazio agli schieramenti opposti.