Seconda guerra mondiale. “Suonava la sirena, ci alzavamo di notte e scappavamo”

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Il primo ricordo di Ida Rossi sulla Seconda guerra mondiale non riguarda le bombe. “È un pomeriggio del 1942, io ho sei anni e ho in braccio la mia sorellina Gemma, di tre anni. A un certo punto non ho più la forza di sorreggerla, le mie braccia cedono e lei cade per terra. Ero troppo debole e il motivo era la grande fame che vivevamo” racconta oggi Ida. Nei suoi racconti, la “grande fame” tornerà spesso. 

Ida è nata nel 1936 a Ponte San Pietro, un paese in provincia di Bergamo che oggi ha 11 mila abitanti. È tagliato in due dal fiume Brembo e per questo durante la Seconda guerra mondiale è un obiettivo sensibile: “I tedeschi volevano colpire il ponte ferroviario – spiega Ida – Quando c’era il rischio di bombardamenti, suonava una sirena. Ci alzavamo di notte, tutti spaventati, prendevamo solo la coperta che avevamo sul letto e scappavamo. Andavamo su una via che portava fuori dal paese, era piccola, buia e per questo la chiamavamo via fosca”. Un altro obiettivo sensibile, a Ponte San Pietro, era il campo di aviazione della Caproni, industria aeronautica, che si trovava a pochi metri dalla casa della famiglia Rossi. “Nel 1943 i tedeschi volevano eliminare la scuola aerea. Ci era arrivato un avviso, da lì a pochi giorni avrebbero fatto saltare in aria il campo – ricorda oggi Ida – Lo hanno minato e noi abbiamo dovuto togliere tutti i vetri e gli specchi dalla nostra casa. Il giorno dell’esplosione siamo saliti alla Madonna del Castello (una collina vicina al paese, ndr) e da lì abbiamo visto esplodere tutto”. La loro casa era ancora in piedi, spiega Ida, “ma il campo di aviazione era diventato un colabrodo. Prima dell’esplosione era stupendo, andare lì per noi era come andare su una giostra. Avevo sette anni, mi ricordo molto bene”. 

Aveva paura dei bombardamenti? “Io sono cresciuta con la paura. Di notte, quella sirena ci terrorizzava. Non avevi tempo di pensare e non dovevi farti domande. Potevi solo fare andare le gambe. La paura l’ho sempre avuta”. 

E poi l’altro “incubo”, il cibo che mancava. “Una volta a settimana andavamo alla Legler ( cooperativa che vendeva alimenti ndr) con un pentolino, per ricevere il minestrone. Quel giorno era una vera festa perché si mangiava qualcosa – spiega Ida – negli altri giorni avevamo soprattutto polenta”. Sua mamma era sarta e questo le aiutava: “Io andavo a portare i vestiti alle famiglie che ce li commissionavano. C’era donna che aveva sette figli maschi e io spesso andavo a portare le camicie per tutti. Ogni volta che mi vedeva, quella donna mi dava del latte con un pezzo di polenta fredda, ma abbrustolita dal fuoco. Mi diceva di mangiare, quel cibo era per me. Le volevo bene, e adesso quando passo al cimitero vado sempre a dire una preghiera per lei”. Ida lo ripete più volte: “Quella fame ci ha accompagnato per anni. Ricordo che in estate comprare un’anguria ci sembrava una cosa di un altro mondo”. 

Ida e altri bambini di Ponte San Pietro in colonia a Brembate Sopra (Bg).

Poi, nel 1944, l’arrivo degli americani. “Hanno scelto la nostra casa come presidio, forse perché era una delle più grandi della zona. Sono stati lì un mese e a noi era rimasta solo la cucina e una stanza per dormire. Mangiavano il loro cibo, nelle scatolette – ricorda Ida – Un giorno mio papà ha l’idea di portargli la polenta. Loro credono sia un dolce, ma quando la provano rimangono delusi e la lasciano lì”. Mentre lo dice, Ida ride di gusto. “Ci dicevano che gli americani erano i nostri amici, anche se non li capivamo. Loro parlavano la loro lingua, noi solo il dialetto bergamasco”. 

L’ultimo ricordo di Ida riguarda il periodo immediatamente successivo alla Seconda guerra mondiale. “Avevo dodici anni e per andare in giro indossavo i sandali di mio fratello Luigino, che erano molto più grandi dei miei piedi – racconta – Un giorno ero a passeggiare in giro e ricordo una signora che li fissava in un modo così strano che avrei voluto scappare via. Quel giorno sono tornata a casa piangendo, ma alla mamma non ho fatto domande. C’erano quei sandali per me, e basta, non avevamo possibilità di scelta”. 

E oggi cosa rimane? “La guerra ha lasciato i suoi strascichi. Mio zio Gino è morto al fronte durante l’avanzata di Russia. Il mondo di allora era un inferno – conclude Ida – Che non torni più”. L’ottantaseienne ha fatto la sarta per tutta la vita. Oggi ha due figlie, quattro nipoti, “per tutti loro cucino sempre in abbondanza”.