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Scuole: cosa accadrà dopo Pasqua?

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Mentre la campagna vaccinale prosegue, continua a tenere banco il nodo scuole: al centro sempre l’incognita della data del possibile ritorno in aula.

Lo scorso 26 marzo, il premier Mario Draghi ha confermato che gli istituti riapriranno dopo Pasqua anche in zona rossa, con il rientro in classe degli alunni fino alla prima media, mentre nelle zone arancioni, a meno di provvedimenti regionali più restrittivi, la presenza è prevista fino alla terza media al 100% e almeno al 50% alle superiori. Negli scorsi giorni, il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi ha proposto di implementare i monitoraggi, attraverso tamponi periodici a studenti e professori per tenere sotto controllo l’andamento dei contagi nelle scuole.

Il piano ha generato alcune perplessità, come quelle sollevate da Andrea Crisanti, responsabile del laboratorio di microbiologia dell’Università di Padova, durante una diretta sulla pagina Facebook del deputato Pd Luca Rizzo Nervo: “Leggo con perplessità l’idea di testare tutti. Testare tutti o testare nessuno, è la stessa medaglia del dilettantismo. È fare una cosa senza sapere perché la fai”.

Crisanti ha anche espresso dubbi sull’efficacia dei tamponi antigenici rapidi: “Non vanno bene, hanno una bassa sensibilità e intercettano solo il 70% delle positività. Quindi il 30% degli infetti rimane in giro. In più, alcune varianti non le vedono proprio”. I test rapidi, dunque, “hanno un grosso appeal psicologico, ma vanno bene solo in determinate circostanze”.

A correggere il tiro ha pensato Agostino Miozzo, ex coordinatore del Cts, ora consulente del Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, in un’intervista a Radio Anch’io: “Non mi è mai passata per l’anticamera del cervello l’idea di far fare otto milioni di test tutti i lunedì mattina perché è surreale e improbabile”. “Il piano è una bellissima invenzione – ha proseguito Miozzo –, ma la realtà è ben diversa: io ho semplicemente raccontato al ministro Bianchi l’esperimento della Provincia Autonoma di Bolzano che prevede esattamente questa cosa qua”, ha aggiunto. “Gli inglesi su raccomandazione di una rivista scientifica, Lancet, danno delle indicazioni di questo tipo, detto ciò si deve poi declinare sulla capacità che abbiamo di poter fare queste cose, il che non può essere il tampone tutti i lunedì”.

Lo studio al quale ha fatto riferimento Miozzo è quello pubblicato la scorsa settimana su Lancet Regional Health – Europe, una delle tante riviste affiliate alla più nota rivista scientifica Lancet. L’indagine ha analizzato i dati dei nuovi casi di coronavirus dal 12 settembre all’8 novembre comunicati da 7.976 scuole (il 97 per cento del totale) al ministero della Salute. Come riportato nella ricerca, i dati rappresentano 7,3 milioni di studenti, 775mila docenti e 206mila operatori non docenti. Secondo i ricercatori, non sarebbe possibile individuare alcun nesso di causalità tra la riapertura delle scuole e l’aumento dell’indice Rt durante la seconda ondata dell’epidemia. Per lo stesso motivo, la chiusura delle scuole non avrebbe influenzato la successiva discesa dell’Rt.

“Le scuole non sono un luogo sicuro in assoluto perché nessun luogo può esserlo in una pandemia, ma è uno dei luoghi più sicuri”, ha scritto Sara Gandini, direttrice del Dipartimento di epidemiologia e biostatistica dell’Istituto Europeo di oncologia di Milano e coordinatrice del team di ricerca. “Tenere aperte le scuole permette di fare tracciamento, quindi al limite bisognerebbe investire di più sul tracciamento. La scuola deve essere l’ultima a chiudere e la prima a riaprire, perché il concetto di salute è ben più complesso che il conteggio dei contagi e dovrebbe includere anche la salute dei ragazzi”.

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