La testata del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino

Molto rosso, storia e innovazione al Salone del Vino 2024

Un vociare indistinto tra calici, etichette e la voglia di scoprire sapori inediti. La seconda edizione del Salone del Vino si apre sulle ottime premesse dell’anno scorso: ancora una volta, al centro, ci sono i visitatori, quest’anno più di 17mila. Dai sommelier più navigati, ai tanti amanti del buon bere, fino ai ristoratori in cerca di nuove proposte per i loro locali.

Anche noi di Futura News abbiamo vissuto il Salone del Vino 2024 calandoci a pieno in questa realtà, provando a muoverci tra le tante cantine protagoniste alle Ogr e al Museo del Risorgimento. Parlando con gli espositori, il trend prevalente è di color rosso piemontese, ma tante sono state anche la proposte di qualità e interesse tra bianchi e rosati. Gli acquisti degli imprenditori, che in vista della stagione primaverile si preparano ad aggiornare la carta dei vini, confermano la tendenza. Anche i bianchi sono stati abbastanza ricercati. Ma soprattutto, su questa tipologia, diverse aziende vitivinicole hanno sperimentato nuovi sapori e nuovi processi produttivi. Come l’azienda agricola Moscabianca che lavorando con le bucce dell’uva ha dato il color arancione a uno chardonnay. O ancora la cantina Alice Bel Colle, che ha sfruttato le venature gessose del proprio terreno per arricchire moscato e barbera con ancora più profumo. Spazio dunque all’innovazione, ma durante questo Salone anche la storia è stata protagonista.

Un amaro vecchio cent’anni

Tra le centinaia di cantine emerge una novità, di portata storica, e di stampo totalmente torinese. L’amaro Mentha arriva al Salone direttamente dal 1911 grazie agli sforzi di Monica Buzio. La ricetta di questo liquore è di Luigi Fassio, un barista e liquorista, che ha a Torino ha gestito 3 bar tra il 1905 e il 1957, attraverso due guerre. Questa e tante altre preparazioni sono state scritte a mano e conservate in dei taccuini, che Monica, bisnipote di Luigi, ha ritrovato per caso in una cantina casalinga.
“Nel 2019 ho preso la decisione di recuperare il quadernetto di ricette e insieme a un esperto del settore ho scelto quale amaro produrre tra i vari che vi erano scritti. Per la sua distribuzione mi sono affidata un produttore giovane e piccolo, visto che la mia è una realtà piccola e artigianale. Non volevo finire in mezzo a un catalogo di duemila pagine dove il mio prodotto perdesse il valore che la storia gli ha donato. È un esempio della liquoristica torinese, che racconta la città dai primissimi anni del ‘900 fino agli anni ’50. E che narra anche un po’ della mia di storia, di una donna che si è inserita in un settore prettamente maschile con una concorrenza spietata. Andavo negli stellati e nei ristoranti da sola a proporre la mia bottiglia e le sue origini. Si chiama amaro menta, ma non è un liquore alla menta. È un liquore che serve a digerire, a base di aloe e nato come medicamento. È giusto che chi lo gusti sappia da dove arrivi. Non è un caso che sull’etichetta ci sia l’immagine del mio bisnonno stilizzato.”

Gustare la storia di Torino e del Piemonte. L’amaro di Monica Buzio non era l’unico prodotto con oltre un secolo alle spalle: i visitatori hanno potuto anche provare una delle aziende vinicole italiane più antiche, come Tenuta Carretta Langhe che esiste dal 1467. Pubblico non solo italiano, ma tanti i curiosi e gli imprenditori stranieri: Danimarca, Germania, Olanda. Dall’altra parte del banco la novità territoriale è stata quella della presenza della Valle D’Aosta.

Un po’ di Aosta a Torino

Novità della seconda edizione è stato appunto il coinvolgimento della Valle D’Aosta come regione ospite. Con i suoi vini e i suoi spirits ha conquistato il pubblico del Salone. Alle Ogr era presente un consorzio di espositori aostani nell’angolo più in alto della sala, rispettando la loro posizione geografica sulla cartina. Tra una ricchissima offerta di bottiglie spiccano i bianchi, classicamente abbinati a del pesce, nonostante la distanza dal mare.
Distaccati dal percorso doc altri produttori hanno portato le loro bottiglie al Museo del Risorgimento. Una scelta che è stata voluta – ci ha raccontato Elisabetta Sedda di azienda agricola Vintage – per realizzare un prodotto autoctono e incontaminato. “Nessuna aggiunta enologica, nessuna filtrazione e tanto olio di gomito” conclude Elisabetta.

Nonostante la pioggia che ha scandito il weekend, anche quest’anno il Salone è stato un successo. Racconti e identità differenti rispetto all’anno passato, che hanno affollato tutte le cantine presenti. L’appuntamento si rinnova a Febbraio 2025 per fare riassaggiare e scoprire il vastissimo patrimonio vitivinicolo del Piemonte.

Articoli Correlati