Ristoranti e Covid – storie di chi non cede alla crisi

condividi

La ristorazione è da sempre considerata un’eccellenza del nostro paese, tanto negli apici dei ristoranti stellati che popolano la guida Michelin quanto nelle piccole e laboriose trattorie e osterie di provincia. A seguito di un’indagine basata su interviste dirette agli operatori del settore e ai dati prodotti da associazioni di categoria, si è cercato di capire quanto la pandemia abbia costituito un ostacolo per lo svolgimento dell’attività di bar e ristoranti.

I dati sui ristoranti

La Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi), la quale fa capo a Confcommercio e si occupa di fare trade union tra tutte le aziende che fanno parte del mondo della ristorazione, del turismo e dell’intrattenimento, il 1° febbraio ha pubblicato un rapporto nel quale si delinea una situazione tragica: “Il clima di fiducia scende a 56,1 per cento, ben 32 punti al di sotto del valore registrato un anno fa (88,2%). I giudizi sulle prospettive di breve termine sono segnati da forte pessimismo”.

Diversi esercenti hanno affermato che il periodo di lavoro quest’anno è stato molto ridotto a causa delle chiusure imposte dal governo. Oltre al periodo di lockdown totale, hanno influito molto le misure di coprifuoco, rendendo impossibile il lavoro serale nei ristoranti, e le misure di blocco interregionale, escludendo i turisti (nel III trimestre 2020, il rapporto Fipe parla di “peggioramento di ben 42 punti percentuali rispetto a quanto rilevato un anno prima).

I maggiori fattori discriminanti per la sopravvivenza economica dei ristoranti sono stati le condizioni di affitto dei locali e la presenza di dipendenti esterni a contratto. Ciò ha implicato un vantaggio per le aziende a conduzione familiare e proprietarie del locale di lavoro, per via delle minori spese cui fare fronte in un anno che ha visto un forte calo dei profitti. I ristori promessi dal governo, anche quando percepiti, non sono stati in grado di far fronte alle perdite legate alla diminuzione del lavoro. Molti ristoranti hanno dovuto chiudere o sospendere a tempo indeterminato la propria attività, a volte anche da un giorno all’altro.

Pensare di ripartire con la pandemia in corso è un progetto ambizioso, ma si può tentare. A questo è dedicata la nostra inchiesta di comunità che sta affrontando le conseguenze del Covid-19 su alcuni settori chiave come turismo e commercio, intrattenimento, sport e spettacolo. E per questo siamo alla ricerca di storie.

Le interviste

Abbiamo cercato persone che potessero rappresentare questo settore e raccontarci la loro storia per rendere più umani i numeri che ci vengono raccontati ogni giorno e rappresentano una situazione drammatica ma incapace di rendere giustizia alle vite che sono state stravolte dagli eventi.

Tra chi è riuscito a far fronte alla crisi, ci sono Carla Marina ed Elisabetta Chiantello, proprietarie del ristorante “Da Celso” in via Verzuolo, al confine tra Cenisia e Borgo San Paolo a Torino: “abbiamo lavorato il più possibile fin quando ci è stato permesso – ha raccontato Elisabetta – e abbiamo rispettato ogni indicazione del governo. Sono arrivati gli aiuti economici. Non abbiamo potuto fare molte consegne perché non eravamo attrezzate per questa attività. Siamo riuscite a cavarcela lavorando sodo il più possibile, seguendo le notizie giorno per giorno. Svolgiamo questo mestiere da molti anni e abbiamo una clientela affezionata che sa come lavoriamo. In più noi siamo un locale a conduzione familiare, i muri sono nostri, ma se non ci fosse stato l’impegno da parte nostra e l’affetto della clientela non sarebbe stato possibile continuare”.

Da barista a “robivecchi”

Ci sono anche i casi però di chi ha perso il lavoro e ha dovuto reinventarsi. Un esempio è quello di Enrico Gabellone, barista e gestore del locale “L’Oca Ciuca”, in via San Donato nell’omonimo quartiere. A marzo 2020, conscio degli evidenti rischi legati al contagio che avrebbero limitato gli accessi della clientela, Enrico ha deciso di chiudere il locale: “Ho preso questa decisione nelle prime settimane in cui era uscita la notizia dell’epidemia in Italia. Il mio lavoro si basava sulla socialità, sullo stare insieme. Molti dei clienti sono miei amici e mi rendevo conto che la paura avrebbe posto un freno, la gente non sarebbe più venuta. Prima di arrivare alla chiusura ho cercato di trovare un accordo per l’affitto con il proprietario, ma non è stato possibile”.

Ha poi proseguito: “Da allora la mia vita è cambiata e così le mie abitudini. Ho dovuto abbattere le spese e in un primo momento sono andato avanti grazie ai risparmi e agli affitti di alcuni appartamenti di cui sono proprietario. Poi a settembre, ultimato il trasloco dal locale a casa, mi sono ritrovato pieno di oggetti di cui non ricordavo nemmeno l’esistenza. Vecchi ricordi di una vita accumulati in 12 anni di attività e oltre. Ho così deciso di metterli in vendita su internet. Io sono un collezionista e ho la passione per il restauro di vecchie cianfrusaglie. Ho trovato radio, walkman, televisori portatili, vecchie chitarre, gadget di bevande alcoliche che mi sono stati regalati da commercianti nel corso degli anni. Ho pensato che così potessi unire l’utile al dilettevole: nel contempo potevo riparare e vendere oggetti e soprattutto fare spazio in casa. L’esperienza è andata bene e sono riuscito a racimolare qualcosa. Ho notato che me la cavo e adesso gestisco anche vendite per conto terzi. Non escludo di tornare a lavorare come barman in futuro, ma il mio sogno sarebbe aprire uno spazio di coworking da condividere con artisti, scultori, falegnami, artigiani.”

Giovani e volontariato

Ancora diversa è la storia di Alessio Ventimiglia e Pietro Giannella, rispettivamente titolare e barman del locale Insomnia in via Belfiore a Torino. Il locale, un cocktail bar nel quartiere San Salvario, è stato profondamente colpito dalle chiusure, poiché il coprifuoco ne ha impedito completamente l’attività. I due ragazzi, 25 e 23 anni, non si sono però dati per vinti e sono entrati nel mondo del volontariato: “Mi sono avvicinato al mondo del volontariato durante il primo lockdown – ha affermato Alessio – sono entrato in contatto con Croce Giallo Azzurra (un’associazione di pubblica assistenza) che si occupa di protezione civile e assistenza sanitaria. Dopo qualche mese ho contattato Pietro per coinvolgerlo in questo progetto che mi sembrava meritevole. Ci siamo occupati di trasporto pazienti con disabilità e delle dimissioni dei pazienti positivi al Covid. Adesso frequentiamo un corso sulle tecniche di rianimazione infantile. Inoltre facciamo supervisione nelle scuole per il rispetto delle norme anti contagio, cercando di sensibilizzare i ragazzi e spiegare loro quanto sia importante per la salute di tutti seguire regole. È quasi un anno che non lavoriamo più. Anche quando i divieti sono diventati meno rigidi abbiamo pensato che non avesse senso riprendere l’attività per poche ore al giorno con alti rischi per la salute nostra e dei clienti. Non abbiamo avuto diritto ai ristori promossi dal governo perché essendo stato il 2020 il primo anno di lavoro effettivo, non abbiamo potuto dimostrare le perdite economiche necessarie al rilascio dei finanziamenti”.

“Io sono felice di aver aderito al volontariato – ha aggiunto Pietro, barman del locale- perché così posso fare qualcosa di utile e occupare il mio tempo in modo costruttivo. Ora sono in cassa integrazione, ma i soldi arrivano quando capita. Fortunatamente lavoro da quando sono maggiorenne quindi ho dei risparmi, ma ho dovuto cambiare le mie abitudini e le mie spese. Ho potuto sostenermi anche con l’aiuto dei miei genitori. È una situazione difficile, ma cerchiamo di affrontarla in modo costruttivo”.