Precari e dimenticati, gli infermieri tornano in piazza

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“Questa mattina siamo qui per chiedere riforme per il nostro sistema sanitario affinché non ci siano più morti e sofferenza per mancata assistenza, bisogna avere il coraggio di dirlo, perché così è stato. Non è stato solo il virus ad uccidere tante persone. Siamo qui per chiedere che venga assicurata un’assistenza dignitosa e sicura”. Francesco Coppolella, coordinatore regionale del NurSind – la più grande organizzazione sindacale infermieristica in Italia – è salito questa mattina su un banchetto improvvisato in piazza Castello, e con voce infiammata ha denunciato le mancanze del sistema. Di fronte a lui, decine di infermiere e infermieri, che a un anno dalla prima protesta hanno deciso di tornare in piazza per rivendicare diritti fondamentali e ancora non concessi. “A distanza di 14 mesi, ci troviamo di fronte ad una sanità flagellata, smembrata, confusa, esattamente come dopo una guerra dettata dalla continua esigenza di rispondere all’emergenza, chiusure, aperture, conversioni, tamponi, vaccini, liste di attesa, personale ridotto, precariato, esternalizzazioni e tanto altro. Questo è lo scenario. Le acque di questo tsunami si stanno lentamente ritirando per la terza volta e ogni volta si portano dietro morti, sofferenze, distruzione di un sistema sanitario già di per sé fragile, che va ricostruito.”

Il problema principale, racconta un’infermiera del reparto di rianimazione dell’ospedale di Pinerolo, è l’assoluta precarietà del settore. La maggior parte dei professionisti ha un contratto a tempo determinato e a partecipare ai bandi per le assunzioni sono sempre gli stessi, che pur di lavorare accettano di essere spostati da un punto a un altro del paese. Gli stipendi sono di gran lunga inferiori agli altri stati e con indennità ferme al 1995, che in alcune aziende del Piemonte sono addirittura assenti in caso di malattie infettive. Quelli che lavorano, poi, sono in numero insufficiente per assecondare le necessità di chi richiede assistenza, esplose ulteriormente con l’inizio dell’emergenza pandemica. Si stima che servano oltre 160mila nuove assunzioni per avvicinarsi alla media europea, che è attualmente il doppio di quella italiana. Mancano poi investimenti, oltre che sul personale, anche sui posti letto, sulla progettazione, sul miglioramento delle competenze.

“Noi, non vogliamo più che i centralini delle centrali operative del sistema di emergenza siano l’unica risposta per i cittadini che non trovano assistenza sul territorio, – continua Coppolella nel suo discorso – non vogliamo più vedere file di ambulanze all’ingresso dei pronto soccorso, non vogliamo più vedere barelle sui pianerottoli delle scale di un ospedale, non vogliamo più vedere reparti con 40-50 posti letto e solo due infermieri in turno. Noi non vogliamo più vedere che la gente possa morire perché non è assistita come dovrebbe”.