Nel periodo 2010-2022, l’Italia e i suoi territori non hanno fatto passi avanti significativi rispetto ai Goal dell’Agenda 2030. In particolare, l’Italia non ha raggiunto nessuno dei 24 obiettivi quantitativi individuati e di questi solo quattro saranno raggiunti, se l’andamento attuale sarà confermato. Quanto è stato messo in campo è perciò insufficiente e questo vale per l’Italia così come per i suoi territori. Questo è quello che emerge dal Rapporto Territori 2023 di Asvis, presentato il 13 dicembre, da cui si evince, come suggerito nell’introduzione, la necessità di “accelerare gli sforzi per conseguire l’Agenda 2030”. L’edizione di quest’anno per la prima volta permette di valutare per ogni regione e provincia autonoma, l’evoluzione rispetto ai goal dell’Agenda 2030 e, insieme, il livello a cui si attesta rispetto alla media nazionale. Il Piemonte, registra un miglioramento nel goal 3, “Salute e benessere” e un leggero miglioramento per cinque goal: 4, 7, 8, 9 e 12, cioè rispettivamente “Istruzione”, “Energia”, “Lavoro e crescita economica”, “Infrastrutture e innovazione”, “Consumo e la produzione responsabili”. Rimane stabile invece per i goal 2, 5, 6,10 e 11, che riguardano “Agricoltura e alimentazione”, “Parità di genere”, ”Acqua pulita e servizi igienico sanitari”, “Disuguaglianze” e “Città”. Peggiora nei goal 1, “Povertà”, 15, “Vita sulla Terra”, e 16, “Giustizia e istituzioni”.
Guardando agli obiettivi quantitativi ambientali, però, si comprende come il Piemonte non sia così avanti, come invece potrebbe sembrare. Dai dati raccolti da Asvis, quello che emerge è che il Piemonte è in ritardo rispetto agli obiettivi dell’Agenda 2030. La regione dovrebbe in particolare concentrarsi su qualità dell’aria, energia da fonti rinnovabili, consumo di suolo e rifiuti. Per le energie da fonti rinnovabili, ad esempio, la regione è in linea con la media nazionale con una quota del 19,4%. Una tendenza però che probabilmente non permetterà di raggiungere l’obiettivo fissato dalle Nazioni Unite. Infatti, l’Agenda 2030 vorrebbe che entro il 2030 la quota di energie da fonti rinnovabili arrivasse al 45%, con una differenza di venti punti percentuali rispetto ai valori attuali. Similmente, in tema di inquinamento da PM10, secondo i dati Asvis, Torino registra il livello più alto d’Italia con 75 giorni di superamento del limite. Oppure, ancora, il consumo di suolo nel 2022 è stato superiore alla media nazionale, con 14,5 ettari consumati per 100mila abitanti. Infine, la quota di rifiuti urbani prodotti nel 2021 è pari a 502,1 kg/abitante anno, in linea con quella nazionale, ma di nuovo con un allontanamento dal target.
A che punto si trova realmente il Piemonte?
Per rispondere alla domanda è fondamentale tenere conto non solo della dimensione ambientale, ma anche di quella economica, sociale e istituzionale. La ragione è data da uno degli aspetti fondanti dell’Agenda 2030. “L’Agenda 2030 dell’Onu dice esattamente questo e cioè che lo sviluppo sostenibile nasce dall’integrazione di questi quattro fattori, quello ambientale, ma anche quello sociale, economico e istituzionale”, spiega Manlio Calzaroni, responsabile Asvis dell’area “Attività e progetti di ricerca”. “È proprio questo aspetto di integrazione trasversale e multidimensionale che la rende unica”, conclude.
Guardando alla dimensione economico-sociale del Piemonte, quello che emerge è una regione in forte crisi demografica, con un indice di vecchiaia nettamente superiore alla media nazionale. Nel 2022 il Piemonte ha un indice di vecchiaia di 225,3 anziani ogni cento giovani, mentre il Paese di appena 187,6. Inoltre, in Piemonte negli ultimi dieci anni la popolazione è diminuita del 4%, mentre solo nella città di Torino del 5.9%.
La crisi demografica, poi, non riguarda solamente il numero di abitanti, ma anche la composizione della popolazione per classi di età: la piramide demografica è diventata svantaggiosa, vedendo un gran numero di persone anziane a fronte di un numero molto contenuto di persone giovani.
Tutto ciò, poi, incide sull’economia della Regione. Infatti, dalla crisi demografica dipendono le difficoltà delle aziende nel reperimento del personale e il conseguente aumento dei posti vacanti. A questo fenomeno se ne affianca anche un altro, che riguarda nello specifico il capoluogo piemontese: le università attraggono molti giovani, eppure solo pochi di loro, dopo la laurea, si fermano. Il rischio è che si formi una spirale recessiva a sfavore della Regione.
Qualità dell'aria
A Torino un quadro preoccupante
Uno dei problemi più importanti del Piemonte a livello ambientale è appunto quello della scarsa qualità dell’aria. Questa viene misurata attraverso la concentrazione di alcuni tipi di particelle nell’aria: le particelle di particolato – le cosiddette polveri sottili – che sono generalmente suddivise in particelle di Pm2.5, ovvero con un diametro inferiore o uguale a 2.5 micrometri, e Pm10, con diametro tra i 2.5 e i 10 micrometri; le particelle di biossido di azoto. Secondo un’inchiesta del The Guardian del settembre 2023, la Pianura padana risulta tra le aree più inquinate d’Europa, con livelli di Pm2.5 per metro cubo di aria superiori in media a 19 microgrammi tra il 2000 e il 2019. I valori delle regioni interessate sono quindi quattro volte circa il dato indicato come pericoloso dall’Oms di 5 microgrammi al metro cubo di media – le aree con i livelli più alti in Europa si trovano invece in Macedonia del Nord e raggiungono sei volte il limite.
Per i livelli di Pm10 è inoltre indicativo il rapporto annuale di Legambiente chiamato Mal’aria. Il dossier raccoglie per esempio ogni anno il numero di giorni in cui le centraline per il controllo dell’aria delle città registrano valori superiori a una concentrazione di 50 microgrammi per metro cubo, ovvero il limite oltre il quale l’aria viene considerata nociva. In questo caso le linee guida dell’Oms e le direttive dell’UE, indicano che non andrebbero superati i 35 giorni l’anno di sforamento, mentre l’obiettivo dell’Agenda 2030 prevede di non andare oltre i 3 giorni.
Prendendo in considerazione i dati a partire dal 2015 – anno dell’Accordo di Parigi e dell’Agenda 2030 – e Torino, si può osservare come gli ultimi anni ci siano stati numerosi giorni in più rispetto al limite, con un picco di 112 giorni nel 2017. In alcuni casi sono stati registrati anche dei miglioramenti ma non si nota un trend di decrescita, dato che dopo alcuni cali vi è stata sempre una tendenza a crescere nuovamente. Il capoluogo piemontese negli ultimi anni è stato la maglia nera in Italia per numero di giorni di sforamento e si attesta anche oltre il valore medio annuale di concentrazione di Pm10 di 20 microgrammi per metro cubo indicato dalla direttiva del parlamento europeo.
In attesa del rapporto Mal’aria sul 2023, Arpa Piemonte ha diffuso delle stime preliminari utilizzando i dati rilevati dagli analizzatori automatici di polveri, che l’agenzia sono da considerare indicativi in quanto non ancora sottoposti a validazione finale. Secondo i dati, nel 2023 potrebbe esserci stata una diminuzione abbastanza consistente del numero di giorni di superamento: si è ridotto in tutti i punti di misurazione nella regione, con uno sforamento soltanto nelle stazioni di Torino-Rebaudengo e Settimo Torinese-Vivaldi, a fronte delle 12 stazioni dell’anno precedente. Queste prime stime evidenziano per la stazione Rebaudengo 63 giorni di superamento, un calo importante ma ancora lontano dal limite di 35 giorni all’anno.
Gli effetti di una scarsa qualità dell'aria sulla salute
A questi alti livelli di polveri sottili nell’aria torinese e piemontese sembra essere collegato un aumento di morti sul territorio. È stato dimostrato a partire da un esposto presentato da un cittadino del capoluogo alla Procura nei confronti degli amministratori locali nel 2017, poi sostenuto da un comitato costituitosi con il nome di Torino Respira. È stata quindi aperta un’indagine verso sindaci, presidenti di regione e assessori competenti in carica tra il 2015 e il 2019 – Sergio Chiamparino, Piero Fassino, Chiara Appendino e relativi assessori – con l’ipotesi di reato di inquinamento ambientale. Le indagini sono state chiuse nel luglio del 2023 mentre è notizia recente invece l’apertura di un secondo fascicolo che coinvolge anche gli attuali presidente e assessore della Regione Alberto Cirio e Matteo Marnati.
Nell’ambito dell’inchiesta giudiziaria la Procura di Torino ha richiesto tre consulenze: una epidemiologica, per studiare una possibile correlazione tra aumento della mortalità e qualità dell’aria; una chimica, per capire la pericolosità dei diversi inquinanti; una urbanistico amministrativa, per comprendere cosa potessero fare di più i politici a fronte di questo problema. La consulenza epidemiologica, in particolare, ha ipotizzato oltre mille morti derivati dall’inquinamento.
Come dichiarato dal presidente di Torino Respira Roberto Mezzalama al momento degli avvisi di conclusione delle indagini preliminari, il processo è un’occasione e un aiuto “agli attuali e futuri decisori pubblici che hanno e avranno il compito di proteggere al meglio la qualità dell’aria che respiriamo ogni giorno, per difendere i soggetti più fragili e maggiormente esposti ai danni alla salute provocati dallo smog”.
Barbero (Arpa Piemonte): "Necessaria un'accelerazione"
Insieme alle polveri sottili, poi, come spiega Secondo Barbero, direttore generale di Arpa Piemonte, a condizionare lo stato di salute dei cittadini concorrono anche gli ossidi di azoto, gas generati da tutti i processi di combustione. La loro presenza nell’aria è perciò legata al traffico e riguarda in particolare l’area di Torino. “Molti studi recenti della comunità scientifica evidenziano che non tutte le tipologie di particolato sono ugualmente dannose per la salute. Alcune composizioni sono più dannose di altre. Si sta cercando, quindi, di avere una quantificazione più funzionale per agire su quelle componenti del particolato che sono più dannose per la salute”, racconta Barbero riferendosi invece alle polveri sottili.
Sul livello della qualità dell’aria in Piemonte Barbero, analizzando i dati degli ultimi 15 anni, individua una situazione di miglioramento, soprattutto fino alla fine del decennio scorso. “Abbiamo visto però una flessione di questo miglioramento negli ultimi 3-4 anni perché, evidentemente, è necessaria un’accelerazione delle azioni che devono essere fatte, ma anche perché quelle che sono state messe in atto finora stanno progressivamente riducendo la loro efficacia”, ammette. Ѐ essenziale allora continuare ad agire sui trasporti e sul settore dell’agricoltura, con piani volti a ridurre le emissioni di ammoniaca nell’atmosfera. “Le polveri sottili sono la sfida maggiore per i prossimi anni per il Piemonte e la Pianura padana in generale. La conformazione orografica della Pianura padana, con una difficoltà di ricambio dell’aria, ci pone rispetto ad altre realtà europee di fronte a una sfida molto maggiore. Quindi noi dobbiamo lavorare a ridurre le emissioni molto di più delle altre nazioni”, continua Barbero.
Alle difficoltà legate alla conformazione orografica della regione, cioè alla disposizione dei rilievi montuosi, che ostacola il ricambio dell’aria e, quindi, favorisce l’accumulo di inquinanti, si aggiungono quelle provocate dalle condizioni climatiche. Negli ultimi anni l’assenza di pioggia ha influito negativamente sulla qualità dell’aria. La mancanza di pioggia è ovviamente un elemento che va ad aumentare la possibilità di accumulo di inquinanti”, spiega Barbero.
Ma alla siccità, si sommano anche numerosi periodi di alta pressione atmosferica, associata di norma al bel tempo, in cui c’è uno strato di rimescolamento molto basso. In questi momenti, illustra Secondo Barbero, lo strato di rimescolamento può arrivare ad avere valori fino a quattro, cinque volte inferiori rispetto a quelli di altri territori della Francia o della Germania. “Per poter dare ai cittadini la stessa qualità dell’aria che possono avere negli Stati oltralpe, dobbiamo sforzarci a ridurre le emissioni di quattro, cinque volte. Quindi questo significa da un lato più tempo per poterlo fare, dall’altro degli sforzi maggiori, anche economici e sociali”, conclude.
In Piemonte manca una programmazione?
Il Piemonte possiede, tra l’altro, un piano di azione per la qualità dell’aria, approvato dal consiglio regionale nel marzo del 2019. Gli ambiti di intervento individuati nel piano erano: il raggiungimento di livelli di qualità dell’aria che non comportino rischi o impatti negativi significativi per la salute umana e per l’ambiente; il contenimento del riscaldamento globale prodotto dal cambiamento climatico, attraverso la stabilizzazione di gas serra; l’ambito energetico con riduzione di emissioni di gas climalteranti e aumento di energia da fonti rinnovabili; la mobilità e i trasporti, all’interno del quale promuovere mobilità e trasporti sostenibili; l’agricoltura, per una crescita del settore nel rispetto dell’ambiente; il consumo di risorse e la produzione dei rifiuti, da diminuire sensibilmente.
Nell’ambito di questo piano e a fronte di due sentenze della Corte di giustizia dell’Unione Europea che condannavano l’Italia per inadempienza agli obblighi di rientro nei limiti delle normative europee – richiamando in particolare la situazione di alcune regioni come quelle della Pianura Padana – la giunta regionale aveva scelto pochi mesi fa di anticipare a settembre 2023 una delle misure previste per il contenimento dell’inquinamento, ovvero lo stop ai veicoli diesel Euro 5 e benzina Euro 2 dalla circolazione in numerosi comuni della regione. Lo stop è stato però rimandato con l’intervento del governo dopo che la decisione aveva generato preoccupazione in molti cittadini che sarebbero stati influenzati da questo blocco. Una parte significativa del piano quindi è stata ridimensionata facendo leva sugli interventi già messi in campo, considerati sufficienti a raggiungere gli obiettivi preposti. Tuttavia, come visto precedentemente, le misure già attuate non hanno ancora avuto gli effetti necessari per permetterci di raggiungere i goal dell’Agenda 2030.
Il problema però che ha portato a dover rimandare lo stop dev’essere però ricercato, secondo Sergio Capelli, direttore di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta, nella preparazione all’introduzione di questa misura: “Il fatto che sia scritta bene non garantisce che sia applicata altrettanto bene. L’esempio della rimozione del blocco degli Euro 5 è un esempio evidente di questo […] Purtroppo da quel febbraio 2019 – quando è stata approvata la direttiva in questione – al giugno 2023, non si è fatto nulla. Non si è comunicato nulla ai cittadini”. Si è arrivati così, per il direttore locale di Legambiente, a dover fare qualcosa all’ultimo momento, minando anche la credibilità delle istituzioni.
Per limitare l’uso dell’auto privata, secondo Capelli, serve innanzitutto potenziare il trasporto pubblico: “Devo dare un trasporto pubblico efficace ed efficiente: efficace nel senso che mi deve portare da A a B in tempi ragionevoli e con un comfort ragionevole; efficiente nel senso che deve avere una sostenibilità economica”. Nell’ambito urbano infatti un grande utilizzo dell’auto privata sostiene in maniera minore il trasporto pubblico e influisce sulla sua efficienza aumentando il traffico sulle strade. Inoltre cruciale è il tema delle ferrovie nella regione, sul quale prosegue Capelli: “In Piemonte, adesso qualcuna è stata riattivata, ma c’erano 14 linee ferroviarie sospese, linee ferroviarie utilizzate dai pendolari. E se sono utilizzate dai pendolari e il pendolare non ha più il treno, prende l’automobile”.