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L’On. Riccardo Magi: “Penso tutto il male possibile del finanziamento alla guardia costiera libica”

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Libia, Europa, Balcani. Sui grandi temi migratori del nostro tempo il deputato di +Europa Riccardo Magi non fa sconti, né al governo attuale né a quelli passati. Arrivato a Torino in occasione della campagna elettorale delle primarie ha voluto visitare il Cpr di Torino, dove poche settimane fa si è suicidato il 22enne Moussa Balde. Da lì è partita la sua riflessione più ampia sulla gestione dell’accoglienza e del rapporto coi migranti, in Italia e in Europa.

A breve il Parlamento dovrà votare per rinnovare il finanziamento alla missione di sostegno alla cosiddetta “Guardia Costiera Libica”, cosa ne pensa? Pensa sia la direzione giusta, considerando che ha avuto inizio con un governo di centrosinistra e da allora svariate decine di milioni di euro sono stati versati nelle casse di organizzazioni che hanno legami molto stretti con la criminalità organizzata, che ha in mano il traffico di esseri umani e stupefacenti?

“Sul rinnovo della missione di sostegno alla Guardia Costiera Libica penso tutto il male possibile. Io credo che quella linea di politica dell’Italia, inaugurata con il memorandum con la Libia del 2017, abbia prodotto una forma di cooperazione internazionale perversa. L’Italia, con il supporto di altri partner europei, ha deciso di ravvivare l’accordo firmato da Berlusconi, ponendo alla base di questa cooperazione l’impegno delle autorità libiche nel fermare il flusso migratorio, in questo modo non favorendo la stabilizzazione della Libia, né una sua transizione nella democrazia, ma stabilizzando dei poteri paramilitari e paramafiosi, se non realmente mafiosi. In questo modo si è arrivati non solo a gravi violazioni dei diritti umani, reiterate e documentate, ma anche a un peggioramento della tutela degli interessi nazionali dell’Italia. E quindi a una perdita dell’Italia di potere come interlocutore, tant’è vero che ci sono altri attori che hanno acquistato peso come la Turchia e la Russia. È stato un errore, inaugurato nel 2017, per cui c’è stata una continuità di diversi governi dopo l’esecutivo Gentiloni su questa linea. La prima volta che ho partecipato a una missione di salvataggio nel Mediterraneo c’era il governo Gentiloni, il ministro dell’Interno era Minniti, il ministro alle Infrastrutture e ai Trasporti era del Delrio. Lì cominciava la prassi per cui quando si facevano i salvataggi in mare le autorità italiane dicevano ‘si cede il controllo di queste operazioni alle autorità libiche’. Lì è cominciata la questione. Il filo non è sottile: è un filo bello grosso di continuità con i governi successivi. Quindi, in occasione del voto annuale sul rinnovo della missione, credo che si debba creare, e noi ne faremo sicuramente parte come l’anno scorso, un fronte che presenti una risoluzione contraria al rifinanziamento, almeno di quella missione di supporto, il che darebbe il segnale che si è compreso che c’è stato un errore politico e che c’è una voglia di discontinuità. Per noi sarebbe un comportamento coerente dal punto di vista politico, per altri si tratterebbe di cambiarlo completamente.”

Crede che sia giusto, come sta facendo il governo Draghi, perseguire un accordo europeo sulla falsa riga di quello di Malta, basato sulla redistribuzione volontaria dei richiedenti asilo? Oppure pensa che bisognerebbe riprendere in mano la riforma del regolamento di Dublino ferma in consiglio europeo da anni?

“La riforma del regolamento di Dublino era molto migliore dell’attuale Patto europeo per l’immigrazione e l’asilo. Quella riforma era stata approvata dal Parlamento Europeo nel 2017, e conteneva meccanismi di redistribuzione obbligatori. Se si fa parte di un’Unione, che noi vorremmo diventasse una federazione, bisogna andare in questa direzione. La bozza prevede addirittura che si possa venire meno alle responsabilità di condivisione pagando. L’attenzione a questo problema è un po’ deformata nel dibattito italiano. Quest’anno il nostro Paese, tra i 5 Paesi che in Europa accolgono più richiedenti asilo, è quello che ne ha accolti di meno, sia in termini percentuali rispetto agli scorsi anni sia in termini assoluti. Va bene chiedere maggiore condivisione: a un certo punto si dovrà arrivare a questo, anche magari se non c’è unanimità facendo una sorta di cooperazione rafforzata con i paesi che ci staranno, perché è troppo importante fare dei passi in avanti anche su questo terreno. Però guardiamo anche i dati per quello che sono, e non gridiamo all’emergenza appena c’è un aumento in qualche misura fisiologico, assolutamente sostenibile se ci fosse una capacità di organizzazione maggiore delle nostre istituzioni e delle norme che facilitano l’integrazione e l’inclusione.”

Andiamo sul fronte orientale. A gennaio il tribunale di Roma ha dichiarato illegittimi gli accordi tra Italia e Slovenia sulle riammissioni informali di persone al confine, non più ripresi dopo quell’ordinanza. Pensa che potrebbe essere una speranza per tutti i respinti dall’Italia in quella che è l’ultima tappa della rotta balcanica?

“Io sono orgoglioso che per una volta un atto di sindacato ispettivo è servita a qualcosa. L’ordinanza che ha citato ha in qualche modo condannato il Ministero dell’Interno riconoscendo che quelle procedure di riammissione sono illegittime. Si tratta di persone che vengono prese senza che gli venga notificato un atto, senza che gli venga chiesto se vogliono presentare domanda di asilo: vengono prelevate non solo nei pressi del confine ma anche a Trieste, e vengono portate a un appuntamento tra la polizia italiana e la polizia slovena. La quale le orta a un altro appuntamento in cui si mettono su un altro furgone e si portano al confine con la Croazia; la Croazia le porta in Serbia o in Bosnia, e in poche ore si ritrovano da Trieste a fuori dell’UE senza che ci sia un documento che notifica questo. Sulla base dell’interpellanza che noi avevamo fatto a luglio dello scorso anno, e delle ammissioni che il governo ha fatto in parlamento sul fatto che i respingimenti riguardassero indistintamente chi richiedeva asilo e chi no, adesso siamo riusciti in qualche modo a far esplodere questa situazione. C’è però un rischio. Per ora questi respingimenti non avvengono più in Italia, ma credo che si siano intensificati al confine tra Slovenia e Croazia, una casella prima in questo macabro gioco dell’oca. E ho il sentore che le nostre forze dell’ordine, magari l’esercito italiano, operino congiuntamente con queste altre forze di polizia. Magari all’interno di qualche forma di cooperazione, di collaborazione, di scambio di ‘buone prassi’, come vengono chiamate. Farei attenzione a che con l’estate queste procedure non riprendano: siamo molto attenti, e siamo in contatto con le organizzazioni e le associazioni per i diritti umani attive su quel fronte.”