La testata del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino

Oulx: lo sgombero non ferma l’eterno ritorno alla frontiera

condividi

Un’ora di macchina da Torino, poche ore a piedi per la Francia: il comune di Oulx, in alta Val di Susa, è lo snodo da cui passano ogni giorno decine di storie di persone migranti. Giovani soli o, più spesso, famiglie con bambini anche piccoli. Molti di loro percorrono da anni la rotta balcanica per giungere in Europa: Turchia, Grecia, Serbia, Bosnia, Croazia e infine Italia. Arrivati qui, cercano di passare un ultimo confine. Ad assisterli ci sono realtà diverse, più o meno consolidate, più o meno istituzionali. Da martedì 23 marzo, però, ce n’è una in meno. Nelle prime ore dell’alba Digos, polizia, carabinieri e vigili del fuoco hanno sgomberato l’ex casa cantoniera occupata in cui era stato creato il rifugio autogestito “Chez JesOulx”.

La voce di Nina, una delle persone occupanti, intervistata da Radio Onda d’urto

L’occupazione era iniziata nel dicembre del 2018, due mesi dopo lo sgombero di una realtà simile a Claviere, comune di 200 abitanti sul versante italiano del Monginevro. In quei mesi, il percorso delle migrazioni stava cambiando: da Bardonecchia e il colle della Scala, la rotta verso la Francia si era progressivamente spostata proprio verso il colle del Monginevro. Non solo, ma cambiava anche la tipologia di persone migranti: rispetto ai giovani adulti singoli provenienti dalla rotta africana, diventava sempre più comune incontrare famiglie numerose, che avevano percorso la via dei Balcani partendo principalmente da Afghanistan, Iran, Pakistan o Kurdistan. Il numero di persone da assistere, così, aveva iniziato a crescere ad Oulx e Claviere, mentre le istituzioni faticavano ad organizzarsi adeguatamente in tempi rapidi.

“La casa cantoniera in questo periodo ha, con le sue modalità, dato una risposta a un bisogno che c’era. È un dato di fatto che lì delle persone abbiano trovato un punto di appoggio” afferma Michele Belmondo, Responsabile progetti e attività di emergenza della Croce Rossa di Susa, il comune più grande della zona, “Lo sgombero ha intaccato degli equilibri che si erano venuti a creare negli ultimi due anni”.

Assistenza in Val di Susa: una rete fitta

Don Luigi Chiampo, gestore del rifugio Fraternità Massi a Oulx

Questi equilibri includevano la Croce Rossa Italiana e il rifugio “Chez JesOulx”, le Ong Medici per i diritti umani e Rainbow4Africa, ma anche Le Refuge Solidaire di Briançon – sul versante francese – e il Rifugio Fraternità Massi, nato a Oulx a fine 2018 e gestito dalla Fondazione Talità Onlus. A guidarlo è don Luigi Chiampo, parroco di Bussoleno: “Siamo aperti tutti i giorni dalle 16 alle 10. Abbiamo esteso l’orario da circa un anno, prima era dalle 20 alle 8. La scelta di restare chiusi di giorno è dovuta a necessità economica, ma ha anche uno scopo educativo: se una persona arriva a Oulx e il suo obiettivo è andare in Francia, serve uno spazio che spinga a raggiungere questo scopo, altrimenti la situazione stagna. Per cui tu dalle 10 alle 16 prova ad andare in Francia, se poi non ce la fai ti riprendiamo”.

Uno dei mezzi utilizzati dalla Croce Rossa per raggiungere il colle del Monginevro nei mesi invernali. Credit: Facebook “Croce Rossa Italiana – Comitato di Susa”

Anche le operazioni della Croce Rossa, finora, sono state concentrate nelle ore notturne: “Saliamo ogni sera sul colle del Monginevro a Claviere – spiega Belmondo – Cerchiamo di monitorare i flussi, portare aiuti concreti e se necessario intervenire in situazioni di emergenza, come nel caso di persone sfinite dopo il respingimento alla frontiera. A volte accompagnamo qualcuno al rifugio di Oulx, per dargli un posto sicuro dove dormire la notte. Il nostro approccio è neutrale: aiutiamo le persone, non siamo lì né per fermarli né per incentivarli a passare il confine”. Ad essere esplicitamente favorevole al passaggio della frontiera era invece il rifugio “Chez JesOulx”, l’unica struttura aperta nelle ore diurne. Il suo venir meno, secondo Belmondo, “ha causato disorientamento tra le persone migranti. Per loro conta molto il passaparola, per cui arrivano in un territorio dove aspettano di trovare un appoggio che non c’è più”. Adesso la struttura, messa in vendita con un bando dell’Anas insieme ad altre 100 case cantoniere in tutta Italia, potrebbe diventare un bar o una stazione per la ricarica di veicoli elettrici.

Operazioni di assistenza della Croce Rossa a Claviere. Credit: Facebook “Croce Rossa Italiana – Comitato di Susa”

La chiusura ha portato anche, per qualche giorno, ad una forte pressione sulle strutture rimanenti: il rifugio Fraternità Massi è passato dagli usuali 20-30 ospiti ad averne “tutte le sere 40, 50 o 60. Siamo rimasti gli unici sul territorio – dice don Chiampo – La settimana scorsa, subito dopo lo sgombero, siamo arrivati anche a 80, in una struttura che al suo limite può raccogliere 50 persone”. Lo stesso vale per la Croce Rossa: Belmondo spiega che si è passati da 25 a 60 persone assistite in media ogni giorno: “Dai prossimi giorni avremo una maggiore presenza a Oulx e Claviere anche di giorno, per rintracciare le persone che transitano e intercettare le loro esigenze, però si tratta comunque di un’attività mobile. Andiamo verso i mesi più ‘tranquilli’, perché d’estate il valico è più semplice, ma difficilmente i numeri caleranno”.

Migliaia di presenze invisibilii

Negli ultimi tre mesi, più di 3mila persone sono transitate da Oulx e hanno trovato appoggio in uno dei due rifugi. Una presenza consistente, in un paese che conta poco più di 3mila abitanti, accolta in modi differenti, con proteste pubbliche, manifestazioni di fraternità e appoggi talvolta silenziosi. “Ma la valle è sostanzialmente solidale. I montanari conoscono le difficoltà estreme che queste persone devono affrontare per arrivare alla frontiera.” Lo racconta Piero Gorza, referente di Medu per il Piemonte, che a Oulx dà il suo contributo nell’attenzione ai problemi di salute e alle condizioni materiali di chi vi transita. “Stupisce però che, per quanto siano in migliaia a passare, a molti risultino ancora quasi invisibili. A preoccuparmi è quest’area grigia.”

E a essere invisibili sembrano anche le realtà che li accolgono, come mostra l’emendamento alla legge di bilancio, presentato a dicembre e approvato giovedì in Conferenza Stato-Città. Nella lista dei 12 comuni che divideranno i 5 milioni di euro destinati alla gestione dei flussi migratori, ci sono Bardonecchia e Claviere, ma Oulx non compare. La motivazione è che il comune non si trova sul confine, nonostante sia l’unico presidio rimanente sul territorio per l’accoglienza delle persone in transito. “Le istituzioni a volte, come in questo caso, sono disattente o forse lontane – continua Piero Gorza – Claviere ha da sempre una posizione negazionista sui migranti, mentre Bardonecchia ha fatto di tutto per lasciare a Oulx il peso nella gestione della situazione. Possiamo condividere o meno le modalità della casa cantoniera, ma non possiamo non riconoscere che questi due centri hanno sopperito a una pragmatica disattenzione istituzionale.”

Sull’altro versante

Dall’altra parte della frontiera, a Briançon, c’è Le Refuge Solidaire, dove chi attraversa il confine con l’Italia può trovare ospitalità dopo aver percorso 18 chilometri di sentieri boschivi. Anche questo punto di appoggio per persone migranti, però, potrebbe sparire. Allo scadere del contratto a giugno 2020, il neo sindaco del comune aveva intimato di liberare l’immobile entro ottobre. Grazie a una raccolta firme e a una forte mobilitazione, lo sfratto è stato rimandato di sei mesi, che sono, però, ormai agli sgoccioli.

Le Refuge Solidaire, Briançon. Credit: leggiscomodo.org

Per Piero Gorza, la crescente intolleranza dello stato francese, con rimpatri illegali e atti violenti, sarebbe solo uno dei segnali di una più generale criminalizzazione della solidarietà. “Una donna al nono mese di gravidanza è stata respinta alla frontiera francese e mandata a partorire in Italia, in un ospedale a più di 100 km di distanza, quando il più vicino ne distava solo 15”. Se da un lato quindi vengono chiusi i centri che li ospitano, dall’altro si assiste a un inasprimento dei controlli e una maggiore militarizzazione del territorio, che obbliga la gente a scegliere cammini sempre più pericolosi. “Molte di queste persone sono vittime sia nel corpo che nella psiche. Lo sono dallo scoppio di una bomba in Afghanistan, che li spinge a compiere viaggi lunghi anni, dalla fuga dalla Grecia, fino ad arrivare poi in Italia. E proprio nei luoghi che avrebbero dovuto rappresentare un posto sicuro, il passaggio in Francia vede ripresentarsi gravi violazioni dei loro diritti minimi e della loro salute”.

Le fragilità di un’assistenza retta dalle associazioni

Nelle condizioni attuali, la rete di assistenza per le persone migranti sulla rotta di Oulx-Claviere-Briançon pare un colosso con i piedi d’argilla, a cui manca un deciso intervento delle istituzioni. Se Le Refuge Solidaire rischia la chiusura, lo stesso rifugio Fraternità Massi esaurirà a maggio i fondi di un progetto che contribuisce a finanziarlo. “A livello privato possiamo andare avanti come adesso, ma per migliorare il nostro servizio serviranno maggiori risorse – spiega don Chiampo – e anche per questo ci stiamo coordinando con la prefettura, cercando di coinvolgere i comuni limitrofi di Bardonecchia e Claviere, per progettare il prossimo anno”. 

Le persone respinte alla frontiera dalla polizia francese vengono affidate alla controparte italiana, che ha il dovere di riammetterle nel paese; a questo punto, spesso nel cuore della notte, vengono accompagnate ad Oulx dalla Croce Rossa per trascorrere la notte nel rifugio. Il giorno dopo, però, si ritrovano nella situazione di partenza, senza alternativa a ritentare il passaggio. 

“La frontiera è un boomerang – conclude Belmondo – si tenta e si ritenta, a volte da un valico, a volte dall’altro. La fluidità dei passaggi dipende da quanto è ‘permeabile’ il confine, se dalla parte francese il passaggio è ostacolato, aumenta la pressione sul versante italiano”. La chiusura di “Chez JesOulx” ha ottenuto di ristabilire la legalità nella casa cantoniera di Oulx, ma il vuoto che ha creato deve essere colmato: “A maggior ragione adesso che lo Stato ha deciso di sgomberare, servirà una risposta istituzionale di livello ai bisogni del territorio”.