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‘Ndrangheta, nuovo capitolo in Piemonte: arresti e sequestri per reati fiscali

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Si torna a parlare di ‘Ndrangheta in Piemonte. L’operazione “Cavallo di Troia”, condotta dalla Guardia di Finanza di Torino, ha svelato una catena di fallimenti e reati fiscali aggravati dall’ ”agevolazione mafiosa”, portati avanti da tre società operanti nel settore edilizio, ritenute al servizio degli esponenti della ‘ndrina Bonavota, radicata nel territorio di Carmagnola e collegata all’omonima cosca calabrese. La Gdf, coordinata dalla Procura di Torino, ha emanato un’ordinanza di custodia cautelare per due soggetti e il sequestro preventivo di 2,5 milioni di euro a carico di otto persone nelle provincie di Torino, Asti e Reggio Calabria. 

Stando a quanto emerge dalle indagini preliminari, gli indagati avrebbero gestito le imprese finite sotto accusa anche tramite l’utilizzo di prestanome. Questi potevano contare della protezione della cosca, che al contempo garantiva loro la possibilità di allargare il proprio business attraverso importanti commesse. Si sarebbero poi assicurati un vantaggio sulla concorrezza drogando il volume dei loro debiti, abbattendo fittiziamente i debiti tributari e previdenziali. Le società venivano così “consumate” dal denaro destinato al pagamento dei dipendenti, che finivano poi alla criminalità organizzata. I sequestri patrimoniali hanno coinvolto anche due professionisti, uno dei quali si trova già in carcere, che secondo l’accusa avrebbero costituito la “mano tecnica” della frode dichiarando il falso e attuando un articolato metodo di evasione proseguito fino al 2019.

Il radicamento criminale negli anni

Il radicamento e l’estensione della rete ‘ndranghetista in Piemonte emerse chiaramente già nel 2011, quando la maxi operazione “Minotauro” condotta nella notte tra il 7 e l’8 giugno e coordinata dalla procura di Torino, portò a 142 arresti tra Piemonte, Lombardia, Liguria e Calabria. Dall’inchiesta risultò che ben otto clan erano attivi su Torino, mentre altri sei dirigevano i traffici criminali dei paesi dell’hinterland: Cuorgné, Volpiano, Rivoli, San Giusto Canavese, Chivasso, Moncalieri. In quel caso fu possibile delineare anche il complesso meccanismo di governo che legava le cosche calabresi a famiglie locali, con i primi che dal vertice della struttra criminale intervenivano nelle dinamiche criminali piemontesi solo per assegnare cariche o per risolvere conflitti: una prova della “maturità criminale” che la ‘ndrangheta ha raggiunto in alcune aree del nord Italia.

Le locali di ‘ndrangheta attive in Piemonte e Valle d’Aosta. Fonte: Relazione Dia 1° semestre 2020.

Al 2019 risalgono invece le condanne per associazione mafiosa del processo nato dall’inchiesta “Colpo di Coda” il successivo filone con protagonisti Torino e la sua cintura. In quel caso il totale delle condanne chieste dalla Procura ammontava a 134 anni di carcere per gli esponenti di due “locali” di ‘ndrangheta nelle zone di Chivasso (Torino) e Livorno Ferraris (Vercelli).

Sempre del 2019 e strettamente collegata a quanto scoperto dalla Gdf è anche l’operazione “Carminius” del 2019, che fece scattare numerosi arresti. Nell’ambito del processo “Carminius-Fenice”, solo due giorni fa la Dda di Torino aveva fatto partire 26 richieste di condanna per oltre 300 anni di reclusione, chiedendo undici anni di reclusione per l’ex assessore regionale di Fratelli d’Italia Roberto Rosso.

A settembre di quest’anno, la Direzione distrettuale antimafia ha pubblicato il consueto rapporto semestrale, relativo alla seconda parte del 2020, in cui si legge come il Piemonte sia “territorio eletto dalle mafie, in particolare della ‘Ndrangheta”.

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