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“Morire di pena”, all’Unione culturale i dubbi su carceri e 41bis

Ieri, l’Unione Culturale Antonicelli ha ospitato l’incontro “Morire di pena”, il primo di una serie di appuntamenti per riflettere sulle carceri e sulle condizioni attuali di queste strutture. E sotto la lente di osservazione è finito, anche, il 41bis, articolo dell’ordinamento penitenziario che prevede il regime carcerario abitualmente definito come “carcere duro”

Michele Miravalle, coordinatore dell’Osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione della Associazione Antigone, ha sottolineato che il 41bis nasce in un contesto molto preciso. Nel 1986 viene introdotto come misura d’emergenza in caso di rivolte o di problematiche interne alle carceri. Ma poi arriva il 1992. Muore Falcone e la mafia rappresenta un pericolo concreto per le istituzioni democratiche. Il 41bis viene rivisto, e diventa un modo per evitare che i detenuti mantengano i contatti con le associazioni mafiose. Per questo motivo, è impossibile ridurre questo regime a un provvedimento puramente giuridico. “È uno strumento anche politico, e continua a esserlo”, sostiene Miravalle.

Ad oggi, sono circa 800 i soggetti al 41bis. Contando chi è tenuto sotto un regime di alta sicurezza, si raggiungono circa le 10mila persone. I detenuti totali, però, sono 60mila in Italia. “Stiamo concentrando l’attenzione su una parte minoritaria dei detenuti, che è anche ben poco rappresentativa di quella che è la totalità della popolazione carceraria. Questo dà l’alibi per non occuparsi degli altri 50mila”, ha spiegato Miravalle. In più, il 41bis avrebbe, secondo lui, delle funzioni chiare e dichiarate, ovvero l’interruzione dei legami con le associazioni mafiose, ma può nascondere anche una finalità di prevenzione e di definizione del nemico pubblico. In questo senso, il caso di Alfredo Cospito, detenuto al 41bis da maggio, sarebbe emblematico, in quanto rappresentante di un’ideologia nemica dello Stato.

L’avvocato Luigi Romano ha sottolineato come, in alcuni casi, si decida di non revocare il regime del 41bis a detenuti che si trovano in carcere da decenni, anche se l’associazione mafiosa di cui facevano parte non esiste più. Il suo collega Gianluca Vitale ha criticato l’applicazione del 41bis e ha rimarcato che ergastolo ostativo, a cui soggiace Alfredo Cospito a causa della recidiva, è cosa diversa dallo stesso 41bis.

Lo sciopero della fame cominciato dall’anarchico e da diversi altri detenuti è diventato un modo per cercare di far sentire la propria voce. Una delle tematiche che si stanno sviluppando sempre di più in relazione alle carceri, infatti, è quella legata alla fisicità dei condannati. In un contesto di privazione della libertà, il corpo diventa “l’ultimo spazio simbolico a disposizione delle persone detenute per portare avanti le proprie battaglie politiche o per attirare l’attenzione su sé stessi. Non a caso il 2022 è stato l’anno con più suicidi avvenuti all’interno delle carceri italiane”, ha detto Miravalle.

Ciò che emerge è un sistema che non garantisce livelli di salute adeguati, che rifiuta ogni richiesta avanzata dai reclusi — che si vedono negata la possibilità di un regime alternativo o di ottenere un permesso — e che non riconosce ai detenuti la dignità individuale e soggettiva. Questo elemento assume una dimensione ancora più drammatica, se si pensa che a Torino, presso il carcere delle Vallette, l’11% della popolazione carceraria è composta da detenuti nati tra il 1998 e il 2004, come sottolinea Monica Cristina Gallo, garante della Città di Torino per i diritti delle persone private della libertà.