In Piemonte ci sono pochissimi casi di denunce di infortuni sul lavoro e di malattie professionali (patologie che insorgono a causa dell’esposizione a fattori di rischio legati all’attività lavorativa). Secondo i dati raccolti dalla Cgil negli archivi dell’Inail. I casi di malattie nel 2025 sono più di 1200, mentre i casi di infortuni sono attorno ai 26 mila: entrambi sono in leggero calo rispetto al 2024 e nettamente inferiori rispetto ad altre regioni del centro-nord. Ma è presto per festeggiare.
Dati contraddittori
“Non bisogna farsi ingannare dai dati – dice Salvatore Lo Giudice, responsabile del dipartimento di salute e sicurezza della Cgil Torino che ha raccolto personalmente i dati -. È davvero improbabile che in questi anni in Piemonte siamo stati così bravi da avere questi risultati. Infatti i dati dicono anche che, nonostante il calo delle denunce, sono in aumento gli incidenti mortali sul lavoro (63 da gennaio a settembre 2025)”.
“Il problema alla base è la mancanza di un sistema di tutela per i lavoratori”, spiega Lo Giudice. Ma oltre alle cause strutturali, tra i motivi di un numero così basso di denunce, secondo la Cgil, ci sarebbero anche la scarsa fiducia nelle istituzioni, la scarsa consapevolezza dei propri diritti e la paura delle ripercussioni da parte del datore di lavoro. Inoltre gli stessi medici non denunciano in maniera adeguata gli infortuni e le malattie professionali: “A oggi sono soprattutto i patronati che denunciano”.
Su Futura news abbiamo parlato di questi temi nella scorsa edizione del nostro settimanale: “Morti sul lavoro. La ferita è aperta”, pagine 4-5.
“Le colpe del governo”: la denuncia della Cgil
L’auspicio del sindacato è l’istituzione di una procura nazionale del lavoro. Non è solo il Piemonte, infatti, a trovarsi in una situazione critica, come spiega Sarah Pantò, segretaria della Cgil Torino. “In Italia sono state registrate 896 denunce di infortunio mortale fino a ottobre 2025, un numero che viene definito ‘in linea con l’anno precedente’. In Piemonte la situazione è ancora più grave con un’incidenza maggiore tra i lavoratori ultra sessantenni, segno evidente di un mercato del lavoro che spinge le persone più anziane a svolgere attività rischiose. I settori maggiormente colpiti sono l’edilizio, la manifattura, il trasporto e il magazzinaggio”.
“Le malattie professionali in Piemonte sono sottostimate e sottodenunciate – continua Pantò -. Il caso eternit ci ha mostrato che possono portare alla morte: ci sono stati 400 morti dirette e circa 7mila complessive, ma a questa scia di morti non è seguita una risposta adeguata da parte delle istituzioni. Il governo ha solo introdotto qualche miglioria sulla formazione, ma non c’è stato un intervento strutturale capace di distinguere le imprese virtuose e quelle che operano nelle zone grigie. La maggior parte degli infortuni si verifica all’interno di imprese che non rispettano la normativa sulla sicurezza, i contratti nazionali né le procedure. Non è stata nessuna revisione nemmeno sul sistema degli appalti, che continua a essere una delle principali aree di rischio, come testimoniano le ultime due morti sul lavoro”.
Uno degli interventi del Governo Meloni è l’introduzione della “patente a crediti”, che ha lo scopo di qualificare i datori di lavoro in base al rispetto delle norme. Con un punteggio di partenza di trenta crediti, se un’azienda scende sotto i quindici, perde l’autorizzazione a lavorare. Ma anche questo strumento non è efficace secondo il sindacato. “La patente a crediti così com’è disegnata non funziona – insiste Pantò -. Su 900 mila imprese l’hanno richiesta solo 400 mila, mentre le altre continuano a lavorare e solo due sono state bloccate. È un sistema che funziona solo sulla carta, così come le formazioni per i lavoratori: spesso vengono rilasciati i certificati senza che sia stato seguito alcun corso”.