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“Mai più schiave”. La speranza delle (troppe) donne sfruttate

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Donne vittime di sfruttamento nel mondo del lavoro, piegate da un consistente gap salariale e sistematicamente sottoposte a molestie, ricatti e violenze sessuali. Solo in campo agricolo, l’ipotesi è di almeno 50mila lavoratrici sottoposte ad abusi di ogni tipo. Nel settore domestico e di cura, il tasso di irregolarità femminile raggiunge il 57%: una percentuale che svuota di senso i diritti di colf e care giver, umiliate dalla precarietà, dall’informalità e dalla scarsa o inesistente soggettività contrattuale. Il 70% sono donne migranti. E poi il grande buco nero dello sfruttamento sessuale, che assume “dimensioni enormi”.

Dati e valutazioni emergono dal rapporto dell’associazione Slaves No More insieme alle Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani (Acli), che puntano non solo a denunciare lo sfruttamento femminile, ma anche a indagare le cause delle disuguaglianze. “Credo che il punto centrale sia ricostruire pari opportunità per tutte e tutti – sottolinea Raffaella Dispenza, presidente Acli Torino – . La nostra Costituzione individua il lavoro come leva fondamentale per la vita dignitosa delle persone, eppure, anziché liberare, produce violazioni, violenze e minacce: è un paradosso”.

L’abuso sessuale delle donne raggiunge punte di violenza sistematica nel caso delle persone Lgbt+, soprattutto di provenienza brasiliana. Il rapporto si sofferma su alcune tendenze recenti, in particolare la prostituzione indoor e gli annunci online. La ricerca ha riguardato 200 siti web attivi in tutta Italia. Il business che ne scaturisce, secondo stime Istat del 2021, è di 4,7 miliardi di euro, un volume di affari doppio rispetto all’intero settore alberghiero.

Dopo la pandemia, la fuoriuscita dal mercato del lavoro delle donne ha raggiunto il 15% delle occupate nel 2018-2019. Francesco Carchedi, sociologo dell’Università La Sapienza di Roma e membro direttivo dell’associazione Slaves No More, parla di un “progressivo scivolamento verso il basso”: una fetta sempre più ampia di popolazione femminile si trova o sotto la soglia o sulla linea di povertà, in una situazione di estrema fragilità sociale. Nel nostro Paese, quasi la metà delle donne continua a non lavorare: si parla del 48,7%. Il tasso di disoccupazione femminile ha raggiunto il 9,2%, contro il 6,8% degli uomini. La condizione di genitorialità continua ad avere un impatto strutturalmente diverso sulla partecipazione al mercato del lavoro. Sul totale delle dimissioni di genitori di bambini tra 0 e 3 anni, la componente femminile è la stragrande maggioranza e troppo spesso continua a dover scegliere tra la vita lavorativa e i figli. “È un fallimento per l’intera società”, commenta Valentina Cera, consigliera della Città metropolitana di Torino con delega alle politiche sociali e di parità.

Le donne, che sono state quelle più colpite durante la pandemia, raggiungendo il minimo tasso di occupazione nel giugno 2020 con il 47,3%, “ce la mettono e ce l’hanno messa veramente tutta – afferma l’avvocata Michela Quagliano, consigliera di parità della Città metropolitana – . Hanno avuto una grande capacità di recupero, eppure continuano a guadagnare di meno. E questo non solo perché hanno un basso salario orario, ma anche perché lavorano troppe poche ore e più saltuariamente: c’è un problema di lavoro povero e iniquo”. La generazione delle donne tra i 25 e i 34 anni è la più istruita dal dopoguerra ad oggi, eppure è ultima per tasso di occupazione femminile. Addirittura, per quanto riguarda il terzo trimestre del 2022, sta peggio di quindici anni fa: è sotto di 2.7 punti percentuali rispetto allo stesso periodo del 2007.

Deve essere restituito alle donne “il diritto di essere protagoniste” attraverso percorsi esistenziali di prevenzione che siano segnati da libertà e diritti, affinché “smettano di autopercepirsi e di essere considerate ‘vittime’ e diventino il prima possibile autonome e capaci di autodeterminarsi”, spiega Jacopo Rosatelli, assessore alle politiche sociali della Città metropolitana di Torino. Da parte delle istituzioni, c’è la consapevolezza della necessità di un’azione comune: “Questi sono temi su cui non ci si può e non ci si deve dividere: ci devono vedere compattamente uniti”, sottolinea Alberto Cirio, presidente del Piemonte. La lotta alle discriminazioni deve infatti rappresentare una priorità per l’intero Paese: la questione della parità deve prescindere il sesso e diventare appannaggio di tutte e di tutti.

Si tratta di “uno studio che mira a mobilitare le coscienze, perché è nelle coscienze che maturano i diritti”, sottolinea Pino Giulia, presidente di Slaves No More. Serve a dare voce alle donne che hanno perso la possibilità di esprimere se stesse e che sono prive dell’essere riconosciute, e quindi del riconoscersi. Non è infatti merito di nessuno essere nati nella “culla giusta”, ricorda la giornalista Marina Lomunno. Ma può essere merito di tutti denunciare queste “gravi” situazioni di sfruttamento, affinché non vengano più tollerate.