Per don Luigi Ciotti, fondatore dell’associazione Libera, “l’ultima mafia è sempre la penultima. L’obiettivo delle associazioni è sempre quello di rigenerarsi”. Un processo, quello del rigeneramento, che va avanti da anni. Le associazioni hanno assunto, nel corso del tempo, forme diverse. Oggi, mimetizzandosi sempre di più, sono penetrate nel tessuto economico e imprenditoriale in tutta Italia, Piemonte incluso: “non conviene più sparare, – racconta Giovanni Bombardieri, procuratore capo della Repubblica presso il tribunale di Torino – oggi la mafia fa clic sul computer, non con il grilletto. E infatti oggi sono spesso le aziende a cercare collaborazione con le nuove forme di criminalità organizzata”. In questo contesto le mafie approfittano della segmentazione dei processi produttivi per dare ai cittadini l’illusione del risparmio.
Per Bombardieri è qui che “devono intervenire anche le associazioni di categoria per far comprendere ai cittadini che le imprese gestite dalla mafia funzionano meglio solo in apparenza, poiché la loro concorrenza è sleale”. Infatti quando le proprietà vengono confiscate e riassegnate non ottengono il guadagno ottenuto dalla gestione illegale precedente, il cui successo è legato a doppio filo con l’instaurazione di un clima di intimidazione per la concorrenza e con il mancato rispetto delle regole economiche.
Risulta fondamentale, a questo proposito, conoscere il fenomeno mafioso. E per farlo occorre al tempo stesso sviluppare la capacità di riconoscerlo. Il concetto è stato ribadito da tutti i relatori intervenuti alla conferenza “Un Piemonte libero delle mafie”, tenutasi oggi, 13 marzo, all’auditorium Città metropolitana di Torino. La lotta alla mafia nasce, infatti, dalla consapevolezza della presenza, ormai estesa, del fenomeno. “Si crede ancora che la ’ndrangheta sia un fenomeno limitato al Sud Italia: non è così” spiega la procuratrice generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Torino Laura Musti: “Emilia Romagna, Lombardia, Veneto, Piemonte e Valle d’Aosta sono regioni fortemente interessate dal fenomeno mafioso”.
Per anni la presenza di associazioni a delinquere nel Nord Italia è stata negata. “Quando cominciai a occuparmi della problematica nel 2007 – racconta Domenico Rossi, consigliere regionale, – mi dissero di non creare allarmismo. Poi la situazione è cambiata nel 2011, a seguito dall’operazione Minotauro”. Fu un evento in grado di risvegliare le coscienze, ma la mafia, sottolinea don Ciotti, “è sempre stata presente in Piemonte, si pensi al scioglimento del Comune di Bardonecchia nel 1995. Allora, se si vuole combattere il fenomeno, bisogna rinnovare anche gli strumenti: si usano ancora buone pratiche diventate ormai obsolete”.
Don Ciotti critica anche l’uso della parola legalità nell’ambito della lotta alla mafia: “È un mero concetto retorico, non significa nulla senza eguaglianza e senza giustizia”. Oggi la vera sfida della giustizia, secondo Bombardieri è “garantire non solo l’incolumità fisica, ma anche la possibilità di continuare l’attività sul territorio”. A proposito di nuove sfide, anche l’Università di Torino, secondo la vice rettrice alla Ricerca e direttrice del dipartimento di Giurisprudenza Laura Scomparin, “è ormai un player economico a tutti gli effetti e questo nuovo ruolo la espone a eventuali infiltrazioni di stampo mafioso. Insieme alle istituzioni dobbiamo lavorare molto per proteggerci in questo senso”.