La testata del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino

Legno alleato per il clima, ma serve pianificare

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Dalla Gioconda di Leonardo dipinta su una tavola di pioppo ai primi sci, utilizzati in Lapponia già duemila anni fa. Il legno è un materiale che l’uomo usa da sempre, fin dai tempi in cui i suoi antenati vivevano sugli alberi. Forse è per questo, dicono gli esperti, che ancora oggi la vista di un bosco produce effetti positivi sul corpo e sulla mente umana. Ma, al di là dei benefici sulla specie, sono molti gli aspetti per cui il legno si configura come attore protagonista della mitigazione del cambiamento climatico. Attenzione, però: l’equivalenza foresta-legname non è sufficiente, anzi, corrisponde ancora una volta a una prospettiva antropocentrica che rischia di far perdere di vista la pluralità di risorse e funzioni rappresentata dal sistema bosco. 

A stimolare la riflessione sul tema, è l’annuale convegno organizzato dall’Associazione legno dell’Unione Industriali di Torino, dedicato quest’anno al “Clima del legno” e al suo ruolo di risorsa per la sostenibilità ambientale. 

In Italia la foresta cresce, ma spesso è fragile

Negli ultimi anni, in Italia, la superficie forestale è in continua crescita. Un trend che prosegue dal primo dopoguerra, quando si è cominciato a importare legname da regioni lontane e, con il secondo dopoguerra, è arrivato il grande abbandono delle aree rurali. 

“E questa è una delle caratteristiche delle foreste: la loro resilienza – spiega Giorgio Vacchiano, esperto di pianificazione forestale dell’Università di Milano -. Fino ad un certo punto, le foreste sanno rigenerarsi e si ricreano”. Così, nel nostro Paese, l’estensione dei boschi è ora doppia rispetto agli Anni ’50, però con una forte criticità. Se nel mondo le foreste catturato il 26 per cento della Co2, cioè circa un terzo del totale delle emissioni, in Italia sono in grado di trasformarne appena un decimo. “Questo non perché le nostre foreste non siano sane, anzi, sono anche poco sfruttate – continua l’esperto – ma perché le emissioni sono troppe”. Così, in queste situazioni di forte sbilanciamento, le foreste spesso fanno fatica. 

Un alleato contro la crisi climatica

Se l’impennata fuori controllo delle emissioni degli ultimi cento anni è dovuta principalmente all’economia basata su combustibili fossili (petrolio e carbone), ora si guarda al legno come a uno dei principali alleati contro la crisi climatica. Anche da punti di vista che, in prima battuta, potrebbero far storcere il naso proprio a chi è più sensibile all’ambiente. Per il climatologo Luca Mercalli, della Società meteorologica italiana, ad esempio, la combustione di biomasse rappresenta un “approccio interessante”, perché “se è vero che mette in circolo Co2, è vero pure che si tratta di un circolo chiuso”: l’anidride carbonica restituita all’ambiente è la stessa che la pianta ha assorbito nel corso della sua vita. Nel caso della combustione fossile di carbone, invece, spiega lo scienziato, “si immettono in circolazione quantità di Co2 accumulate in 300 milioni di anni, che altrimenti non avrebbero mai interagito con l’ambiente”. Altro sviluppo che, per gli industriali, potrebbe avere il legno, è quello legato all’edilizia, da cui oggi deriva il 7 per cento delle emissioni. 

C’è abbastanza legno? 

Ma se, al di là dei loro ruoli tradizionali – presidio del territorio contro gli smottamenti, cattura di Co2 e pulizia dell’atmosfera, serbatoio di biodiversità e di principi attivi della farmacologia – alle foreste verrà richiesto di rispondere anche a nuove esigenze, come quelle dell’edilizia, la domanda è: ci sarà abbastanza legno per tutti? Non si rischia – con un’eccessivo disboscamento – di inasprire la crisi climatica in atto? In quest’ottica, la situazione dell’Amazzonia è emblematica: l’Earth sleeping Giants stirring l’ha già individuata tra i nove punti di non ritorno del nostro pianeta. Lì, insomma, il disboscamento è stato portato avanti in maniera talmente feroce che ci sono aree boschive che non sono più in grado di catturare la Co2, ma addirittura la producono. 

Da noi, dicono gli esperti, la situazione è diversa, ma le foreste vanno gestite. Un esempio di mala gestione? In poche ore la tempesta Vaja ha abbattuto 20 milioni di piante. Nove milioni di metri cubi. Siamo stati in grado di recuperarne appena 400 mila, nemmeno il 5 per cento del totale.

“Nel contesto in cui ci troviamo – chiude Mercalli – è essenziale evitare un eccessivo sfruttamento delle risorse legnose, limitando i prelievi alla parte rinnovabile delle foreste, di cui non va compromessa la crescita”. Le regole ci sono: effettuare tagli diradando gli alberi è una pratica che rinforza il bosco.

E poi si deve puntare sulla biodiversità, sulla rigenerazione, e anche sulla coltivazione artificiale di bosco. “Una pratica non nuova – spiega Vacchiano – Boschi che oggi ci sembrano perfettamente naturali in realtà a volte sono artificiali, come quello che i veneziani usano per produrre i remi delle loro imbarcazioni tra Cinque e Seicento”. L’urgenza, per chi si occupa di clima, è la pianificazione. “E sapete quanti boschi oggi in Italia sono oggetto di pianificazione forestale?” chiede Vacchiano al suo eterogeneo pubblico di industriali e studenti. “Il 15 per cento”.