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La nuova frontiera della scuola: un sistema integrato

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La scuola che verrà è tutta da inventare. Una cosa però sembra sicura: la vecchia lezione frontale ha fatto il suo tempo e la classe sarà un blend, una miscela, alcuni alunni a casa, altri a scuola. Lo sostiene Anna Nervo, professoressa di lingua e cultura italiana e membro dell’Équipe Formativa Territoriale del Piemonte, un gruppo di otto docenti che accompagna l’attuazione del Piano Nazionale Scuola Digitale e promuove la formazione alle nuove tecnologie tra il personale docente e gli studenti. «Hanno fatto di più due mesi di lockdown che non vent’anni di formazione– continua –ed è positivo perché ha dato un’occasione a tutti gli insegnati di imparare modalità nuove di fare lezione».

Ma non è ancora tutto compiuto. «Bisogna affinare e ricalibrare le competenze metodologiche. La didattica a distanza (Dad) muta i parametri e non poter interagire direttamente con gli studenti cambia le prospettive. I tempi della lezione sono diversi ed è necessario variare molto di più le attività, per non perdere gran parte dei ragazzi, catturati dalla noia». Il rischio è quello di fare con mezzi nuovi la vecchia scuola. Molti professori infatti hanno confuso la Dad con la video conferenza, in cui loro parlano e gli altri ascoltano, invece «bisogna creare sfide per i ragazzi, generare più interazione tra il momento sincrono, quello della lezione insieme, e quello asincrono, nel quale i ragazzi studiano da soli».

Un esempio è preparare dei video esplicativi, che gli studenti possono guardare più volte. «Molti ragazzi pensano che sia un modo utile – continua Anna Nervo –. Con un video infatti si può tornare indietro e risentire quello che non si è capito, quindi si adegua ai ritmi soggettivi e ne giova l’apprendimento. È questo il momento asincrono, che deve essere perfezionato con il momento sincrono, la lezione, durante la quale ho i feedback dei ragazzi che chiedono delucidazioni, espongono i problemi, e insieme si sviluppa il discorso, oppure il professore può creare sfide per approcciare meglio il tema».
Come per il lavoro però il rischio è di uscire alienati da ore davanti allo schermo o frustrati per la mole di impegni. «Il pericolo per i colleghi meno avvezzi c’è. Io sono appassionata di tecnologia ed è stato un momento molto interessante. Ora non insegno, ma supporto gli insegnanti, come membro dell’Équipe. Ho notato che la cosa più difficile per i docenti è stato il sovraccarico di lavoro. E non conoscere la tecnologia aumenta i problemi. Le cose semplici diventano complicate se non si padroneggia lo strumento. Questo crea fatica, ansie, problemi e la speranza di tornare subito normalità. I tempi sono dilatati per chi lavora, ma anche i ragazzi».

Infatti, le abilità digitali che si pensa che i ragazzi possiedano non sono così sviluppate. «Alcuni studenti hanno avuto problemi inimmaginati. Li si crede “smart”, ma in realtà sono più consumatori di tecnologie e che non produttori. Di fronte ad una novità non sono così abili».

Lo stesso vale per le famiglie. L’ambito domestico è diventato più complesso da gestire. Il numero di device che si possiedono ad esempio è un problema centrale: «tutti infatti hanno bisogno del computer, perché i genitori lavorano a casa, e i ragazzi sono costretti a lavorare dal cellulare, il che non è agevole». Per questo l’Équipe Formativa ha creato Scuola in Onda, un progetto che funziona a prescindere dalla rete e usa la radio, con dieci emittenti coinvolte e centinaia di docenti che creano lezioni e approfondimenti per i ragazzi.

Cosa resterà di tutto questo finita la pandemia? «Io vorrei che la tecnologia entrasse nella normalità e offrisse una grande opportunità per sviluppare creatività e pensiero logico. A molti ragazzi manca la scuola come ambiente sociale, il fatto di uscire di casa al mattino e trovare prof e amici. Manca a tutti ed è normale, ma bisogna vedere la tecnologia come un aspetto al servizio della didattica e senza demonizzarla. È anche grazie a lei se abbiamo potuto continuare ad andare a scuola».