Isolamento e periferia, a Torino le storie di un bullismo che cambia

Isolamento e solitudine, questo è il binomio su cui il bullismo si sta muovendo negli ultimi due anni di pandemia. Lo raccontano in prima persona i ragazzi di diverse scuole di Torino. In occasione della Giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo, gli studenti sono stati coinvolti insieme a insegnanti e Istituzioni in due eventi, “Le parole che curano” e il confronto presso l’istituto “Da Vinci- Frank” di Falchera. Occasioni diverse, con un obiettivo comune: individuare le giuste risposte al fenomeno.

Educazione tra pari e diffusione di competenze digitali, così si previene il bullismo

“Oggi c’è un bullismo nuovo, si manifesta come una forma di isolamento. Alcuni nostri compagni dopo il lockdown non sono più riusciti a integrarsi nel gruppo classe”. Gli studenti dell’Istituto alberghiero Colombatto di Torino hanno raccontato questa mattina il proprio vissuto, durante il convegno online “Le parole che curano” dell’associazione Essere umani in collaborazione con il comitato torinese di Unicef. “L’isolamento e l’esclusione sono forme di bullismo passive, inedite rispetto al bullismo attivo che già conosciamo” sottolineano i presenti. Lo confermano anche i ragazzi degli altri Istituti presenti all’incontro.

Sono proprio gli studenti, per primi, a cercare una soluzione. Al Liceo scientifico Alessandro Antonelli di Novara, sono protagonisti di un progetto tra pari: incontrano i propri coetanei nelle classi e insieme a loro parlano di bullismo e cyberbullismo. All’Istituto Vinci-Fermi-Nervi di Alessandria, invece, una rete collaborativa tra insegnanti, preside e studenti ha permesso negli ultimi anni di bloccare sul nascere ogni episodio di esclusione. “Non abbiamo più casi di bullismo – dice una delle studentesse presenti al convegno – Abbiamo anche partecipato a incontri con la polizia postale, che ci ha spiegato quali sono i reati collegati alle azioni in rete e al cyberbullismo”. 

Gli studenti che questa mattina hanno partecipato al convegno “Le parole che curano”

L’ascolto diretto degli studenti, l’educazione peer to peer e una collaborazione seria e costante tra ragazzi e adulti di riferimento sono le risorse indispensabili individuate durante il convegno per affrontare il bullismo. Che devono essere completate anche da un altro elemento: la competenza. Questa gioca un ruolo cruciale soprattutto per quanto riguarda il cyberbullismo, che sempre più lascia le vittime nella solitudine e spesso nella vergogna. “Il mondo informatico è un continuo divenire, è fondamentale diffondere la cultura digitale” ha detto Susanna Donatelli, docente all’Università di Torino e direttrice del dipartimento di Informatica. I suoi ricercatori sono coinvolti in prima persona nell’educazione sul funzionamento della rete internet in ottica anti bullismo, soprattutto tra i più piccoli. Ad esempio, hanno inventato Social4school, una piattaforma che permette a bambini e ragazzi delle scuole primarie e secondarie di primo grado di agire in uno spazio simile a quello di un social network. Sotto la supervisione di un insegnante, i ragazzi possono scegliere cosa postare e quali informazioni condividere sulla piattaforma simulata. L’obiettivo è sensibilizzare al rispetto della privacy e mostrare che ogni azione può avere una diffusione imprevedibile nel web. Parlare solo agli studenti, però, non è sufficiente: “Quando presentiamo il progetto nelle classi, i ragazzi ci rispondono che questi progetti dovrebbero essere rivolti soprattutto agli adulti, che non sono consapevoli della pericolosità del web – spiegano i ricercatori di Unito – per questo stiamo studiando una simulazione che abbia come destinatari anche loro”.

Bullismo e periferia, quando l’unica risposta è la comunità

L’esclusione, fisica e mentale, rappresenta un problema sopratutto nei contesti periferici, dove capita che ai ragazzi manchino importanti riferimenti, personali e aggregativi. Un tema che, tra gli altri, è stato al centro dell’incontro organizzato all’Istituto Da Vinci-Frank di Falchera, che ha visto gli studenti confrontarsi sul tema bullismo e cyberbullismo con le istituzioni locali. Erano presenti la procuratrice del Tribunale dei minori di Torino Emma Avezzù, dell’assessora comunale all’Istruzione Carlotta Salerno, di quella alla Sicurezza Gianna Pentenero e, in video collegamento, di Michela Favaro, vicesindaca di Torino.

Per fronteggiare il problema occorre insegnare a bambini e ragazzi a “sentirsi” gli uni con gli altri, a confrontarsi con i compagni per abbattere l’onta di vergogna che purtroppo si accompagna a questi fenomeni. Per questo, come ha spiegato la preside dell’istituto, la prof.ssa Annamaria Capra, bisognerebbe uscire dalla narrazione negativa, lavorando nel concreto con progetti che mettano al centro i ragazzi. La scuola, soprattutto in un contesto periferico come quello di Falchera, dev’essere per gli alunni un punto di riferimento che vada oltre la mera funzione didattica: sono diverse le situazioni difficili e gli episodi di bullismo non mancano. “Siamo una scuola militante – spiega Capra – lavoriamo in sinergia con il territorio. Crediamo molto nell’importanza della gruppo come risposta al fenomeno, quando si verificano dei comportamenti inappropriati da parte dei singoli, il percorso di giustizia riparativa coinvolge tutta la classe”.

Esemplificativa in tal senso, la testimonianza anonima di alcuni ragazzi, che hanno raccontato come è stato affrontato un episodio di bullismo accaduto di recente nella scuola. “Non appena messi a conoscenza dei fatti, la professoressa ha chiesto ai due studenti coinvolti come fossero andate le cose, mentre la preside ha chiesto al responsabile di inviare una lettera di scuse, nel mentre ha convocato i genitori. Come classe ci siamo dimostrati disponibili, abbiamo risolto la situazione tutti insieme”.

Come spiegano le istituzioni presenti, la scelta della sede dell’incontro, l’Istituto Da Vinci – Frank di Falchera, “la più periferia delle periferie”, è tutt’altro che casuale. “Celebriamo qui la Giornata nazionale contro il bullismo perché riteniamo che proprio dalle situazioni più difficili si possano tirar fuori le risorse più positive”, sottolinea la procuratrice dei minori Avezzù. “Il modello dovrebbe essere quello svedese, dove gli insegnanti migliori vengono impiegati nelle zone più problematiche”, conclude.