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Intelligenza artificiale e regole, i media facciano da soli

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Prudenza, attenzione, spirito critico. Non farsi traviare dall’entusiasmo per le nuove tecnologie e definire strategie di autoregolazione interna da parte delle testate e delle organizzazioni giornalistiche. E allearsi con il pubblico anche per evitare eccessi regolatori che limitino la libertà di stampa. Perché, mai come ora, nel caso dell’intelligenza artificiale, una cattiva regolamentazione rischia di essere un male peggiore di nessuna regolamentazione. La ricetta che emerge dal confronto perugino tra Emily Bell, Rita Kapur e Natali Helberger, moderate da Felix Simon dell’Oxford Internet Institute sul tema Regolamentare l’IA nelle notizie (e per le notizie) è, con accenti e da esperienze diverse, concorde e “sinfonica”.

Come nota Simon nell’introduzione al panel “l’intelligenza artificiale è diventata uno strumento fondamentale nelle notizie e nel giornalismo. Le testate giornalistiche di tutto il mondo hanno sfruttato l’intelligenza artificiale tradizionale e generativa per analizzare grandi set di dati, automatizzare le attività di routine, personalizzare la distribuzione delle notizie e persino aiutare nella segnalazione delle notizie”. Ma pone, ovviamente, enormi problemi in termini etici, giuridici e di salvaguardia della libertà e del ruolo della stampa. I nodi sono noti: l’accuratezza, i pregiudizi, la trasparenza, la responsabilità e la concentrazione del potere. E il panel li passa in esame da tre prospettive diverse nel mondo, ma, come detto, fortemente in armonia tra loro: gli Stati Uniti (Bell), il sud est dell’Asia (Kapur) e l’Europa (Helberger).

In diverse aree del mondo, infatti, la questione della regolamentazione dell’intelligenza artificiale è sul tavolo da tempo, mentre, sul fronte “opposto”, un numero crescente di testate giornalistiche ha affrontato queste sfide frontalmente,  con linee guida sul tema.

Bell riconosce che, indubbiamente, “abbiamo bisogno urgente di una regolamentazione in materia”. E, d’altronde, Usa, Ue e Cina si stanno muovendo. Ma resta primario che il mondo delle news sia dia un compito di autoregolamentazione: “Negli ultimi vent’anni – prosegue Bell – abbiamo imparato molto dal confronto tra giornalismo e tecnologia, dobbiamo partire da lì”.

Kapur sottolinea di essere “preoccupata di come si muoveranno i governi” e cita un caso che conosce bene: le politiche del governo indiano, con il ruolo del partito nazionalista di Modi. Per Helberger, “tutti vogliamo che la tecnologia sia sicura, affidabile e meritevole di fiducia. Questa, dunque, deve essere la prima funzione di una regolamentazione in materia”.

Un nodo cruciale sono i patti tra grandi aziende editoriali e piattaforme che sviluppano l’intelligenza artificiale, come quello sulla cessione di dati stipulato da Microsoft con Axel Springer. Occorre prudenza, sottolinea Helberger: “Meglio pensarci tre volte, prima di condividere i propri dati”.

D’altronde, serve un “sovrappiù di attenzione critica sui modelli e fare attenzione a tutti i player, non solo a quelli più importanti”, sottolinea Kapur, che nota anche come “sempre più spesso i publishers utilizzano blocchi per tutelarsi dall’intelligenza artificiale”.

“Il vero problema per media e giornalisti – dice Bell –  è quanta pressione c’è da fuori rispetto alle regole interne”. Tuttavia, sottolinea Bell, “oggi, rispetto al passato, c’è più consapevolezza” e bisogna “sfruttare questa opportunità”

Kapur sottolinea i rischi, per chi produce notizie, di “guardare alla AI come abbiamo guardato ai social, puntando su numeri, sui volumi”. E anche, aggiunge, occorre evitare la fascinazione per la tecnologia a tutti i costi. Piuttosto, è bene vigilare su come nella gestione del tema da parte dei governi possa prevalere un approccio che fa prevalere le ragioni della propaganda di chi è al potere. Ecco perché si deve auspicare un processo di regolamentazione lento e accurato: “Ed è opportuno anche evitare che una regolamentazione troppo ampia e aspecifica limiti la libertà di stampa”.

Una sfida è quella, dice ancora Kapur, di cercare un’alleanza con il proprio pubblico sul tema, mentre Bell insiste sul contributo che può arrivare dalla ricerca, utile per illuminare le scelte delle realtà editoriali. Senza dimenticare, che, come dimostrano i tempi, “una cattiva regolamentazione è peggio di nessuna regolamentazione”.

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