“I giornalisti non hanno molto, ma hanno un nome. Dall’inizio della guerra, molti giornalisti hanno dovuto rinunciare al proprio nome e adottare uno pseudonimo: questo è stato molto doloroso”. Maria Epifanova, cofondatrice e ceo di Novaya Gazeta Europe, è intervenuta al Festival internazionale di giornalismo raccontando la sua esperienza. Molti giornalisti russi sono dovuti scappare con lo scoppio del conflitto in Ucraina, spesso verso la Lituania. “Quello che abbiamo fatto noi è stato organizzare un momento per fare re-incontrare di nuovo i giornalisti, che in molti casi non si vedevano dall’inizio della guerra”. Novaya Gazeta, a un anno e mezzo dalla sua nascita, ha organizzato un workshop a Riga nel 2023, uno spazio sicuro in cui le persone si sentivano libere di condividere informazioni con persone professioniste. “La supervisione è necessaria: noi non possiamo sostituirci ai terapisti – continua Epifanova -: quello che possiamo fare è aumentare le risorse e organizzare questi eventi”. Questo ha aiutato ad affrontare il problema della salute mentale, che per i giornalisti in esilio è centrale.
Il supporto ai giornalisti in esilio è cresciuto del 227 per cento tra il 2020 e il 2023. A indicare questi numeri è Catalina Cortés, vicedirettrice delle emergenze del Committee to Protect Journalists (Cpj): nel 2020 è stato aiutato un solo giornalista, nel 2021 si è passati a 28, mentre nel 2022 sono stati 96. Nel 2023 sono rimasti 96 e nel 2024, a oggi, siamo a 43: questo ci dà l’idea dell’incremento a cui stiamo assistendo. “Essendo tutte realtà regionali la difficoltà è stata creare un network”, spiega Matt Kasper di Vereinigung für die Demokratie (Vd), la Ong di Berlino che gestisce Meydan TV, la più grande testata indipendente online dell’Azerbaijan. “A un certo punto – continua Kasper -, parlando con le altre organizzazioni di giornalisti in esilio, abbiamo capito che alcuni nostri problemi gli altri non li hanno e alcuni loro problemi noi non li abbiamo. Questo vuol dire che noi possiamo avere delle soluzioni ai loro problemi e viceversa”.
“Ogni giorno sei fisicamente in un paese ma mentalmente in un altro”, dice Aye Chan Naing, vincitore del Cpj International Press Freedom Award del 2021 e cofondatore e direttore di Democratic Voice of Burma (Dvb), un media group indipendente della Birmania. “Quando me ne sono andato ho iniziato a vivere la lotta da fuori”. Naing è stato un giornalista di esilio per 20 anni. “Quando vivi in esilio – continua – devi avere qualcuno sul territorio, di interno: la sfida più grande è proteggere la loro sicurezza. E sicuramente per noi è fondamentale avere flessibilità, sapere reagire istantaneamente alle situazioni che si vengono a creare. Per far questo è necessario, per noi, trattarci come una famiglia”. Anche Penelope Winterhager, direttrice di Jx Fund, la fondazione europea per il giornalismo in esilio, riconosce il ruolo della flessibilità: “Se sei connesso a un certo fondo potresti a un certo punto non poter più accedervi, quindi bisogna essere in grado di reagire”.
Di seguito l’intervista a Maria Epifanova di Novaya Gazeta Europe.