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Il sonno fra liste d’attesa, Alzheimer e nuove terapie

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Mai come oggi dormire è diventato un peso: passare notti insonni o entrare in apnee improvvise fra le coperte è sempre più frequente. “Circa il 3-4% della popolazione mondiale soffre di patologie del sonno – spiega Alessandro Cicolin, responsabile del Centro del sonno dell’ospedale Molinette di Torino – Con la pandemia c’è stato un aumento di pazienti nel nostro Centro: +10% rispetto 2019. Sono tanto adulti con peggioramenti, quanto giovani con disturbi del sonno mossi da uno sfasamento temporale per le lezioni scolastiche”. Osservando altri dati, la fotografia non pare rassicurante: “nel mondo il 10% delle persone trattate soffre d’insonnia, il 3% di disturbi legati al sonno e il 2-3% della sindrome delle gambe senza riposo. In ambulatorio vediamo un 30% dei casi di insonnie, 30% disturbi respiratori e 25% disturbi motori. Il resto si lega a narcolessie e parasonnie”.

Un vero campanello d’allarme, a primo impatto. Ma c’è qualcosa di più dietro: “I numeri sono in crescita anche perché i medici di famiglia prestano più attenzione a questi disturbi – continua Cicolin – Da quattro anni, la Regione Piemonte ha avviato corsi di formazione post-laurea focalizzati sul sonno”. Certo, solo 8 ore, ma rappresentano quel primo passo necessario ad addentrarsi in un ambito ancora sconosciuto e poco capillare, che in termini numerici finora riflette in Italia all’incirca 5mila medici specializzati sulla materia di Morfeo.

Professor Cicolin, quanto si sono allungate le liste d’attesa?

“È difficile fare una stima numerica puntuale. Viviamo una saturazione e come Centro abbiamo cercato di ottimizzare le liste. Va comunque considerato che non è una buona idea centralizzare un trattamento in un solo centro studi. Comprendo l’assenza di una reale rete sanitaria regionale”.

Come mai questo crescente interesse per il sonno?

“Perché la disciplina, relativamente giovane, sta svelando progressivamente nuove branche. Come gli studi sui comportamenti delle cellule nervose durante il sonno, in cui è emerso che senza un’adeguata dormita, è più difficile mantenere materiale cognitivo nelle sinapsi. Ma anche gli studi microstrutturali del sonno che abbracciano la neurofisiologia, per non parlare del mondo del sogno”.

Cosa può dirci su quest’ultima branca?

“Gli studi più recenti si stanno indirizzando verso una sorta di traduzione statistica del contenuto dei sogni. Si è dimostrato come il sogno sia un rumore accessorio di ciò che elabora il cervello durante la notte. Inoltre, è durante la fase rem, quella del sonno profondo, che sogniamo e rendiamo la memoria più fluida e influenzabile alle vicissitudini recenti nel tempo”.

A destare curiosità, sono anche le scoperte. L’ultima, pubblicata sulla rivista Acta Neuropathologica Communications, sulla correlazione fra il deficit del sonno e la sua influenza sul decorso dell’Alzheimer. Potrebbe raccontarla?

“Abbiamo sottoposto per un mese (l’equivalente di 3 anni di vita dell’uomo) un campione di giovani topolini predisposti alla deposizione di beta-amiloide, proteina implicata nella genesi della malattia dell’Alzheimer. È scaturito che la frammentazione del sonno ottenuta con brevi risvegli senza comunque modificare il quantitativo di ore di sonno, intacca il normale funzionamento del sistema glinfatico – quel sistema che “ripulisce” il cervello durante il sonno profondo dalle sostanze neurotossiche che si accumulano durante la veglia -, porta a un maggior deposito della proteina e compromette le funzioni cognitive dell’animale. Lo studio dimostra poi che l’aumento di beta-amiloide si lega a una sua ridotta eliminazione da parte del sistema glinfatico. Ed emerge che in soggetti predisposti alla malattia di Alzheimer un sonno disturbato può favorire processi neurodegenerativi. A loro volta, questi possono compromettere le strutture del sonno, accelerando così la progressione della malattia”.

Come commenta questa pubblicazione?

È una vittoria della ricerca, un lavoro frutto della collaborazione fra il Centro di medicina del sonno delle Molinette con l’Istituto di neuroscienze dei Cavalieri Ortolenghi, diretto dalla professoressa Michela Guglielmotto, afferenti al dipartimento di neuroscienze “Rita Levi Montalcini” dell’Università di Torino. Per le sperimentazioni ha dato un grande contributo anche la dottoressa Elena Tamagno.

Possiamo affermare che non solo è importante la quantità del sonno, ma anche la sua qualità?

Assolutamente. Il sonno è un fenomeno attivo che regola il metabolismo, l’ossigenazione del sangue e il sistema immunitario. I disturbi a esso correlati possono comportare ricadute evidenti da non sottovalutare: triplicare eventuali rischi di obesità, infarti e ictus, raddoppiare quelli di cancro e ipertensione, in particolare per coloro che hanno una predisposizione genetica a essi. Oltre a ciò, si aprono scenari di perdita della qualità della vita e di produttività.

Quindi ci sono anche costi economici e sociali?

Se le complicazioni connesse al sonno non vengono prevenute, i costi sanitari si aggirano intorno al doppio o triplo, vista l’aggiunta di quelli successivi. Sul piano clinico, senza una trattazione adeguata di un paziente che soffre d’ictus e al contempo ha problemi di sonno, ci sono anche il 30% di probabilità in più di averne altri in futuro. Poi vanno considerati altri punti: banalmente, le richieste di permesso da lavoro e i probabili interventi da effettuare.

E riguardo le terapie?

Recentemente, ci sono stati grandi passi in avanti. Da circa tre mesi c’è un trattamento molto selettivo per l’insonnia con principio attivo daridorexant. È prescrivibile solo su base specialistica, ma non è mutuabile. A riprova della bassa considerazione del sistema sanitario nazionale al sonno: tutto è a carico del paziente e un solo mese di terapie costa poco meno di 100 euro.

Indicativamente, quanto dovrebbe dormire una persona?

Mentre per i bambini si stima fra le 10 e le 12 ore giornaliere, in età adulta si conta fra le 7 e le 8. Un quantitativo che si assottiglia più avanti col tempo. Poi, inevitabilmente ogni persona ha i suoi ritmi e svolge le rispettive performance, ma quel che è più importante è il rispetto dei periodi dedicati interamente al sonno.