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Giraud: “Rischi per le banche che hanno scelto il fossile”

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“La crisi bancaria statunitense è solo il sintomo di una crisi più profonda”. Gael Giraud, economista e gesuita francese protagonista della critica al paradigma neoliberale della finanza (dopo esserne stato un esperto riconosciuto), ha le idee molto chiare sugli eventi che hanno colpito l’economia statunitense negli ultimi mesi. In un’intervista ai microfoni di Futura News, durante il Salone del Libro di Torino, ha parlato di molti temi di attualità del mondo della finanza e delle banche, toccando anche temi di transizione ecologica. “Le prime undici banche della zona europea – racconta – hanno il 95% del capitale investito in combustibili fossili. Se domani mattina si decidesse di proibirli, tutti questi istituti di credito fallirebbero”.

Ma le accuse non finiscono qui: “Le banche a questo punto fanno un green washing per dare l’apparenza di essersi convertiti a un economia verde – dice l’economista francese -. Le banche stanno valutando una brutta soluzione, ovvero quella di creare una bud bank (banca spazzatura ndr), a livello nazionale, per comprare i combustibili fossili. Noi cittadini pagheremmo il costo di questo casino, essendo il debito della banca pubblico. Secondo me c’è un’ipotesi peggiore, ovvero che la banca centrale europea vada a giocare il ruolo della bud bank”.

Nel mirino anche l’ultime decisioni della Bce (Banca Centrale Europea) di alzare i tassi d’interesse: “Non mi sembra una buona idea per combattere l’inflazione, perché essa è causata dal rincaro dell’energia- contesta Giraud -. Alzare i tassi risolve il problema della mancanza di energie. La maniera migliore di camminare più rapidamente sulla via della transizione ecologica, liberandoci dalla dipendenza delle energie fossili. La guerra con l’Ucraina lo ha dimostrato”.

E l’economista francese rivolge lo sguardo anche all’Italia: “Bisogna investire nell’acqua, che sarà un bene sempre più raro – conclude -. Mi sembra chiaro che entro alcuni anni bisognerà desalinizzare il mare. Questo si fa già in Tunisia, Marocco, Portogallo e Spagna”.