“Make journalism worth pain for”: da questa frase è nata la collaborazione tra il lato finanziario e quello editoriale all’interno del New York Times (Nyt). Marc Lavallee ha lavorato al Nyt per più di dieci anni, ma ora fa parte della Knight Foundation. “Tutti i dipendenti – continua Lavallee – avevano proprio questa idea in testa: portavano avanti idee interessanti, ma in maniera separata. A un certo punto abbiamo capito che se ci fossimo uniti le cose sarebbero migliorate esponenzialmente”. Lavallee è intervenuto così al Festival internazionale di giornalismo.
Lisa Gibbs, dell’Associated press (Ap), ricorda che per avere iniziative di successo serve cooperazione, anche con partner esterni. “Noi non avevamo molte aspettative – spiega Gibbs -: la chiave è avere un linguaggio comune. E per farlo serve qualcuno che faccia da ponte: io mi descrivo come un’unisci puntini, la matchmaker dell’organizzazione che deve fare in modo che nella stanza ci siano solo persone compatibili tra loro”.
“Non avere molti soldi è il miglior modo per creare un modello che abbia come obiettivo aumentare le entrate: noi siamo partiti così”. Rachel White, presidente di theguardian.com, l’associazione filantropica collegata a The Guardian, spiega che al momento il giornale sta andando avanti grazie ai contributi volontari. “Tutto ciò che facciamo è per i nostri lettori – dice White -: pensiamo a loro tutto il tempo. La maggior parte dei nostri contenuti è gratuita, quindi noi saremo sempre grati a chi sceglie di pagare per quelli a pagamento. Per sdebitarci cerchiamo costantemente di creare qualcosa che abbia un impatto”. È qui che interviene l’impact journalism. Il momento in cui il Guardian è riuscito a far avvicinare notevolmente il lato editoriale e quello finanziario è stato in occasione delle elezioni americane del 2020, con il Democracy project: è stata raccolta una quantità importante di fondi, tutti dedicati alla democrazia.