La testata del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino

Emn: Torino e la ricerca contro le malattie ematiche

La fondazione Emn (European Myeloma Network) è olandese, ma ha diversi rami nei vari Paesi. La sede operativa della struttura europea si trova a Torino. Si tratta di un centro di ricerca d’eccellenza, dove un team di medici e di specialisti under 40 si occupa di neoplasie del sangue, malattie ematiche e, in particolare, di mieloma multiplo. Il capoluogo piemontese così emerge nel panorama sanitario italiano e internazionale.

Il dottor Mario Boccadoro, vicepresidente di Emn, il dottor Giorgio Schirripa, Andrea Novali, amministratore delegato, e Carla Garbero, responsabile delle risorse umane, ci hanno spiegato cos’è la Fondazione Emn e come funziona. “Siamo un gruppo stabilito a Torino, ma rivolto verso l’Europa. Il respiro internazionale è molto accentuato in questa collaborazione”, spiega Schirripa.

Dal 18 al 20 aprile, il Centro congressi del Lingotto di Torino ospiterà la quinta edizione del Convegno internazionale sul mieloma multiplo, promossa dal network di Emn e organizzata con il supporto di Emn Trial Office. Gli ematologi e gli esperti arriveranno da tutto il mondo per discutere e confrontarsi sull’argomento: durante le tre giornate infatti sono previsti circa 80 relatori e 800 partecipanti. Tra i vari interventi, è prevista una sessione dedicata all’Associazione dei pazienti, in modo tale da poter evidenziare anche il loro punto di vista. E un altro momento clou della tre giorni sulle malattie ematiche riguarderà i giovani ricercatori: 8 ematologi under 40 verranno premiati con un travel grant.

Emn-26: l’iberdomide come terapia di mantenimento

Uno dei progetti della Fondazione Emn, è Emn-26, una terapia di mantenimento che ha l’obiettivo di preservare la risposta ottenuta dopo il trapianto autologo di midollo e di incrementare la durata della remissione. Si tratta di uno studio “in fase 2”, ancora in sperimentazione, che testa l’uso dell’iberdomide come terapia di mantenimento nei pazienti con mieloma multiplo.

I risultati preliminari dello studio sono stati presentati a dicembre a San Diego, durante la conferenza dell’American Society of Hematology (Ash).

Abbiamo intervistato Francesca Maria Gay, principale investigator dello studio insieme a Niels van de Donk, che ci ha aiutato a capire l’importanza dei risultati ottenuti.

Chi sono i pazienti a cui viene somministrata la terapia?
Il nostro è uno studio internazionale che prevede un totale di 120 pazienti in tutta Europa: lo studio si sta svolgendo in Italia, Olanda, Francia e Grecia. Si tratta di persone con mieloma multiplo di nuova diagnosi che hanno fatto una terapia di prima linea con un’induzione a 4 farmaci, seguita da trapianto autologo di midollo. Abbiamo selezionato pazienti che avessero raggiunto almeno una risposta parziale dopo il trapianto e che rispettassero determinate caratteristiche per quanto riguarda funzionalità cardiaca e respiratoria e alcuni valori degli esami del sangue, in modo tale da essere considerati idonei al trattamento.

Quanto dura il trattamento con l’iberdomide?
È un trattamento continuativo, il che vuol dire che è tollerato fino a progressione di malattia. Attualmente l’arruolamento è stato completato e abbiamo più o meno un 6 mesi di mediana di follow up di chi è stato arruolato nell’ultima coorte (di cui ancora non abbiamo presentato dati). Sia lo studio che il trattamento potrebbero proseguire per anni. 

Quali sono i risultati?
Lo studio ha valutato tre dosi diverse di farmaco in tre gruppi di pazienti. Al momento abbiamo i dati preliminari relativi a due delle tre coorti. I risultati di risposta buoni. Non si può fare ancora un confronto diretto con terapie pregresse perché i risultati sono preliminari, ma sono sicuramente non inferiori a quelli precedenti. Più del 50% dei pazienti, nell’arco di sei mesi di terapia, ha un miglioramento della risposta rispetto al post trapianto. Misuriamo la risposta sulla base di analisi del sangue, delle urine e delle analisi midollari e base a questi dati valutiamo se la quantità di malattia ancora presente nel post trapianto sia ulteriormente ridotta oppure no.

I risultati verranno analizzati insieme a quelli di un altro studio internazionale, Excaliber, e saranno utilizzati per valutare la dose ottimale di farmaco per il mantenimento. Poi potremmo eventualmente ottenere l’approvazione dell’iberdomide e in seguito anche la distribuzione del farmaco. Ma questo richiederà anni probabilmente.