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Da Harvard a Torino. Il professore Henry Lee scuote la politica sul cambiamento climatico

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“Il cambiamento climatico peggiorerebbe per i prossimi 70 anni, anche se da domani stoppassimo tutte le emissioni”. Non ha dubbi il professore Henry Lee, direttore di “Enviroment and natural resources program” all’università di Harvard e ospite questa mattina all’Energy Center di Torino.

“Gli effetti del cambiamento climatico – spiega – sono sotto gli occhi di tutti. La scorsa estate è stata la più calda degli ultimi 153 anni e quella del 2024 potrebbe già toglierle il primato. Le temperature delle acque degli oceani hanno raggiunto livelli mai visti prima, fino a picchi di 98° al largo delle coste a sud della Florida. E il numero delle persone morte da cause correlate alle alte temperature è triplicato dal 2000. Uragani e cicloni oltre a essere sempre più comuni sono anche sempre più intensi e provocano ancora maggiori danni. Stesso discorso vale per gli incendi che stanno distruggendo ettari e ettari di bosco. E le previsioni per il 2200 registrano un innalzamento del livello delle acque di circa 15 metri, tanto da sommergere il sud della Florida e la città di Shanghai”. Quello che si prospetta è quindi un bollettino apocalittico da far venire l’eco ansia anche a quelli che ad oggi non ne soffrono.

Ma, secondo il professore di Harvard, non tutto è perduto. Ci sono diverse strade da poter perseguire per limitare, perlomeno in un futuro più lontano, gli effetti del cambiamento climatico. E, a quanto pare, una delle maggiori trasformazioni che porterebbe grandi benefici è quella della transizione energetica. Ma non esistono bacchette magiche, il processo è lungo e con molti ostacoli, soprattutto dettati da scelte politiche.

“Quello della transizione energetica – aggiunge- è un argomento ormai presente sulle scrivanie di molti governi. Dobbiamo però essere realistici. Le fonti rinnovabili che derivano da agenti atmosferici come il sole e il vento sono intermittenti. Mi spiego meglio. Si può attingere da queste fonti solo quando sono presenti, quindi se piove non possiamo attingere all’energia del sole e lo stesso per quanto riguarda le giornate senza vento. L’idrogeno verde o anche definito come idrogeno pulito è molto costoso e le infrastrutture per implementarlo sono al momento poco sviluppate. Le industrie che si occupano di biocombustibili – combustibile ottenuto da materie prime di origine agricola come mais, bietola, canna da zucchero – sono in contrasto con le industrie alimentari. Si va a delineare così un quadro molto complesso”.

Sempre secondo il professore di Harvard, un intervento concreto da parte della politica internazionale potrebbe portare ai risultati sperati. Ma bisogna capire se questi traguardi si vogliono davvero. “Dobbiamo sempre tener conto – conclude – che i politici rimangono in carica per pochi anni, solitamente dai 2 ai 6, e se prendessero decisioni strutturali per implementare la transizione ecologica, non riuscirebbero a vederne i risultati. Uno scenario che è sicuramente poco allettante in termine di consensi elettorali. Poi, non ci dobbiamo dimenticare che le aziende che producono petrolio e gas sono ancora molto influenti. Servono quindi tanti soldi e decisioni da prendere, le opzioni adottabili sono molte”.