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Coronavirus: l’aiuto che può portare la fisica e l’analisi dei dati

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Continua il nostro approfondimento sull’uso dei dati nel racconto dell’emergenza sanitaria Covid-19. Questa volta il focus è sulla fisica. Più precisamente, su come può aiutarci ad uscire dalla pandemia. 

“Può farlo, ad esempio, estraendo dai numeri a disposizione i fattori che stanno influenzando l’andamento del contagio e che possono quindi aiutare a valutare la situazione”, spiega Alessandro Ferretti, ricercatore di fisica nucleare e subnucleare all’Università di Torino

Quanto sono importanti i dati in questa situazione?

Sono la seconda cosa più importante dopo gli aspetti clinici. Questo perché ci dicono in che situazione ci troviamo, per esempio indicando se i contagi sono in aumento, se le strategie adottate per misurare la trasmissione del virus sono utili e corrette. 

Quali difficoltà comporta trattarli?

Nel caso dell’epidemia in corso ci troviamo di fronte a un problema: il fisico non può raggiungere questi dati da solo. Di più, deve affidarsi a dei numeri che sono ben lungi dall’essere perfetti. E quindi il lavoro è ancora più faticoso. La fisica ci insegna che gli errori che si fanno osservando con lo stesso strumento dei comportamenti diversi ci consentono di capire meglio sia il fenomeno che il comportamento dello strumento stesso. Quindi uno dei sistemi cui ricorrere per capire al meglio questa situazione è quello del confronto.  Se uso come “termometro” della gravità del contagio il numero dei contagiati, per capire se questo “termometro” funziona bene posso guardare i dati dei contagiati nelle differenti regioni e confrontarlo con il dato dei decessi in quelle stesse regioni, che è il migliore indicatore che abbiamo sulla gravità del contagio. Se, ad esempio, vediamo che se c’è il doppio dei contagiati c’è anche il doppio dei decessi, allora il termometro funziona bene. Se invece vediamo delle inversioni, come nel caso di Piemonte e Veneto che hanno più o meno lo stesso numero di contagiati ma il primo registra molti più decessi, allora capiamo che questo “termometro” non funziona bene, e una ulteriore analisi delle cause di questo comportamento potrebbe farci notare che questo “malfunzionamento” dipende dal fatto che in Veneto si fanno molti più tamponi che in Piemonte, ad esempio. 

Come vengono utilizzati i dati?

Difficile dirlo. Perché è difficile pensare a scenari alternativi, visto che i dati disponibili non sono molti. Ma la speranza è che vengano utilizzati bene. Qualche conferma ce l’abbiamo. Ad esempio, dopo che in molti hanno segnalato l’anomalia del Piemonte circa il numero basso di tamponi eseguiti – soprattutto in relazione a quelli realizzati nelle altre regioni del nord – anche questo territorio si è impegnato a incrementare l’analisi. Il fatto, poi, che i dati vengano resi pubblici consente potenzialmente a ciascuno di noi di rendersi conto – chi più chi meno – della situazione. E un popolo informato è un popolo in grado di esercitare pressione sui decisori politici. 

Quindi oggi abbiamo un deficit di dati?

Bisogna usare i dati. Anzi, sarebbe opportuno averne molti di più a disposizione. Un dato che, ad esempio, è di estremo interesse per comprendere l’estensione e la gravità dell’epidemia è quello relativo alla mortalità a livello di singolo comune. Ogni municipio può ora sapere quante persone in anagrafe vengono registrate come decedute. Un confronto sull’andamento dei decessi di questo periodo con quello degli anni precedenti ci darebbe una stima della mortalità della malattia molto più precisa rispetto a quella che abbiamo ora. 

I dati possono aiutarci a uscire da questa emergenza?

Sì. Questo perché i numeri ci rendono estremamente abili per capire effettivamente quanti contagiati ci sono e per avere un modo per rilevarne il numero in maniera molto rapida nel caso in cui il contagio “ricominci a correre”. La questione dei dati sarà ancora più importante in futuro. Anche grazie all’esperienza di altri paesi come la Cina, Corea del Sud, è ormai evidente che il riproporsi del contagio costituisce una sfida attuale. Da qualche giorno sappiamo che Hong Kong dopo una prima quarantena ha riaperto le attività per richiuderle: il contagio è tornato ad aumentare. Sembra sempre più evidente che per avere una possibilità di uscire dalle restrizioni sarà necessaria una rete di raccolta dati molto più capillare. Altrimenti il rischio è di ritrovarci al punto di inizio.

RICCARDO LIGUORI