Contro i Dca serve il dialogo: la storia di Sebastiano

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Un’Italia color lilla. Il 15 marzo 2021 è la decima giornata nazionale contro i disturbi del comportamento alimentare (Dca), che nei giovani sono la seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali.

Anoressia e bulimia nervosa, disturbo da alimentazione incontrollata, ortoressia e problemi correlati. Futura, negli anni, ha affrontato molte storie e l’ultima è stata quella di Irene, studentessa torinese che ha raccontato come “tutto sia nato con la danza”. Oggi Irene, invece, continua la sua attività di divulgazione su Instagram. E mentre la percentuale di coloro che ne soffrono aumenta, non diminuiscono i pregiudizi intorno al tema.

Uno dei più frequenti è che si tratti di un problema prevalentemente – se non esclusivamente – femminile. “Ricordo che smisi di mangiare il giorno dopo la finale dei mondiali del 2006, avevo 16 anni”, racconta Sebastiano Ruzza, filosofo biellese che ora di anni ne ha 30 e dall’anoressia è uscito dopo un lungo iter di cure. Il suo libro Corri corvo, corri, pubblicato nel 2019, è il primo diario della malattia scritto da un uomo. “Il titolo riprende il soprannome che mi davano i bulli alle scuole medie, quando mi costringevano a correre avanti e indietro nel cortile”. Alla base dell’opera, la necessità di spiegare che non c’è alcuna differenza tra anoressia femminile e anoressia maschile: “Si sta male nello stesso modo”.

L’immaginario comune è saturo di stereotipi, di cui purtroppo sono vittime anche molti medici: “Quando mi hanno ricoverato la prima volta, nel 2010, venivo trattato come un emarginato. In reparto sostenevano che destabilizzassi l’ambiente femminile. Per me è stato traumatico e ho tentato due volte il suicidio. Tutti i cartelli appesi all’ingresso delle corsie si rivolgevano soltanto alle ‘pazienti’, senza nemmeno ipotizzare la presenza di un uomo. Ho iniziato a farmi domande sulla mia identità di genere e sul diritto a ricevere cure”.

Decisiva per condurre Sebastiano sulla via della guarigione è stata la degenza a Villa Miralago, la clinica dove è ambientata la serie Rai Fame d’amore. “Mi hanno dimesso nel 2012 e la vita è proseguita fuori, con il sostegno di famigliari e amici. Mi sono accorto di essere guarito quando non mi domandavo più se lo fossi oppure no”.

I pensieri ossessivi intorno al cibo, al peso, alle calorie da bruciare, l’immagine allo specchio che non soddisfa mai. Il fisico allo stremo, le voci che gli intimano di muoversi, di resistere, ancora. E un istinto di conservazione che nel caso di Sebastiano è stato più forte di tutto. “L’anoressia è un disturbo della comunicazione. Non ci si ammala per adeguarsi a un canone estetico, ci si ammala perché non si riesce a parlare, a trovare risposte nel dialogo con l’altro. E ci si sente colpevoli, inadatti, insufficienti”.

L’associazione di volontari: mutuo aiuto contro i Dca

Ma uscire dal tunnel è possibile, come dimostra la storia di Sebastiano. E lui, ora, sente un bisogno insopprimibile di aiutare gli altri: “I salvati devono tenere a galla i sommersi e al contempo dare voce a chi non ce l’ha fatta”. Per questo ha scritto il libro e per questo lavora ogni giorno, grazie all’associazione Mi nutro di vita, nata a Pieve Ligure nel 2010 per volontà di Stefano Tavilla, che ha perso sua figlia Giulia proprio per colpa di un Dca. La Onlus ha aperto a settembre anche a Biella e il 15 marzo 2021 inaugurerà la nuova sede di Vercelli. “Ci stiamo espandendo per colmare i vuoti della prevenzione e fornire un concreto sostegno ai malati e alle famiglie”. Il gruppo di volontari che Ruzza coordina svolge sia attività di supporto diretto a chi soffre di disturbi alimentari e al suo nucleo affettivo, sia attività di sensibilizzazione come convegni, incontri informativi e corsi nelle scuole, con l’obiettivo di spiegare che i disturbi alimentari non sono una colpa e soprattutto che l’amore non è sufficiente a curarli. “Da quando è scoppiata la pandemia le nostre attività si svolgono online e i numeri dei partecipanti sono incrementati tantissimo. Purtroppo l’isolamento amplifica i meccanismi alla base dei Dca: si ammalano ragazzi sempre più giovani e abbiamo avuto casi di bambini dai sei anni in su”. La situazione è drammatica e i dati lo confermano: con il lockdown i casi sono aumentati del 30%. Per i più giovani la didattica a distanza talvolta rende la quotidianità insostenibile: “Qualche giorno fa mi ha contattato su Instagram una studentessa di 17 anni”, rivela Sebastiano: “Mi ha raccontato che durante le lezioni online non può accendere la webcam perchè trascorre le ore camminando avanti e indietro nella stanza”.

Iniziative e progetti per il 15 marzo 2021

Quest’anno più che mai, dunque, la giornata nazionale contro i Disturbi del comportamento alimentare è un’occasione da sfruttare. Le diverse associazioni attive sul territorio nazionale si sono mobilitate con incontri online e iniziative volte a far sì che se ne parli: grazie alla campagna lanciata da Ilfilolilla, molti monumenti di tutta Italia in questi giorni si illuminano di lilla.

La Mole Antonelliana, con il suo fiocchetto lilla in bella mostra, non è da meno. Mi nutro di vita ha preparato una due giorni molto intensa, tra il 14 e il 15 marzo: domenica un’intera giornata in diretta Facebook, per ascoltare interventi e testimonianze di oltre 70 persone che negli anni hanno collaborato con l’associazione. Lunedì, invece, l’appuntamento (sempre virtuale) è alle 17, quando Sebastiano e gli amici del punto di Biella presenteranno alcune novità, tra cui l’inaugurazione della sede di Vercelli e il nuovo logo, frutto del lavoro di un gruppo di studenti liceali. Dei numerosi progetti curati nell’ultimo periodo, Ruzza ricorda in particolare la collaborazione con Stefano Scherma, fotografo valdostano affascinato dall’umano in tutte le sue sfaccettature: senza pietismo nè retorica, ha realizzato “Body and soul” una serie di scatti che raccontano come cambia la vita quando si attraversa un Dca.

Nasce con l’obiettivo di svelare “I mille volti dei Dca” anche il progetto di Ilaria Elena Borin, che da Varese si muove in tutta Italia (compatibilmente con le norme vigenti) per fotografare chiunque lo desideri: persone guarite, nel bel mezzo del percorso di cura o ancora malate. Ne verrà fuori una galleria in bianco e nero di volti, oggetti, situazioni, con ciascuna immagine corredata da didascalie personalizzate. Un modo per sentirsi partecipi, di nuovo e con forza, della realtà contro la quale si è lottato per anni.