Cina: il colpo alle big tech e agli investimenti nel calcio, ecco le pressioni del partito sugli imprenditori

condividi

Era un aforisma di Mao che continua a regolare l’azione anche degli attuali governanti cinesi. Quel “colpirne uno per educarne cento” è diventato sinonimo di Cina e di tutto ciò che accade aldilà della Grande Muraglia. Così, quando a novembre 2020 l’ente regolatore finanziario cinese blocca l’IPO da 37 miliardi di dollari di Ant Group – fondata e controllata dal celebre imprenditore cinese Jack Ma – l’eloquente slogan di Mao diventa necessario per spiegare il modo in cui l’imprenditoria viene concepita e condotta nella Cina moderna.

“Diventare grandi imprenditori in Cina significa inevitabilmente fare i conti con il sistema politico” spiega Francesco Silvestri, China Director del TOChina Hub e docente presso il Beijing Foreign Studies University. Una delle leve, ad esempio, è l’accesso al credito, attraverso il quale il partito comunista – attraverso le banche – allinea le prospettive e gli intenti degli imprenditori a quelle dello Stato, soprattutto nel momento in cui questi voglio espandere il proprio business e raggiungere un certo livello. “È evidente che le figure imprenditoriali più importanti siano sotto lo scrutinio del partito a causa della loro visibilità, influenza e delle ricadute che le loro scelte hanno in ambito economico, tecnologico e sociale. Eventuali discostamenti dai principi sanciti dalla leadership sono più visibili e densi di conseguenze, quindi soggetti a misure sanzionatorie”. Una dinamica pericolosa in cui è incappato il fondatore di Alibaba. “In un certo senso, Jack Ma è sempre stato una figura sul filo del rasoio. Non è mai stato un antisistema e ha la tessera del partito comunista; tuttavia, in varie occasioni, ha espresso opinioni fuori dal coro, sebbene in maniera cauta. Ha inoltre acquistato il South China Morning Post di Hong Kong, che finora ha mantenuto una considerevole credibilità e indipendenza” sottolinea Silvestri. Dopodiché bisogna comunque considerare la quantità di dati a disposizione delle big tech, quelle di Jack Ma ma anche di tutte le altre, che – tra insieme a molti altri fattori – interessano il partito che, nel settembre scorso, ha pubblicato le opinioni per rafforzare il lavoro del fronte unito nell’economia privata, formalizzando così sempre di più il controllo all’interno del settore privato e a novembre ha bloccato l’IPO di Ant Financial mandando così un forte segnale alle grandi aziende private del Paese.

Tuttavia, non è solamente il mondo delle big tech ad essere finito sotto la lente onnipresente del partito comunista. Fin dall’inizio della sua presidenza, Xi Jinping sogna la Cina vincitrice di un Mondiale di calcio. Un desiderio attualmente difficile – dato che la nazionale cinese si attesta al 77esimo posto del ranking mondiale – che ha però scaldato i cuori degli imprenditori cinesi, pronti a spendere milioni per acquistare o fondare società di calcio in patria o all’estero, in modo anche da avvicinarsi ai piani alti del partito. Ora, a pochi anni di distanza dall’inizio degli investimenti folli e precipitosi delle società calcistiche cinesi per acquistare top player o importanti società in giro per il mondo, Xi Jinping ha cambiato rotta, imponendo forti limitazioni agli investimenti (soprattutto al monte ingaggi per i giocatori stranieri) e una serie di misure per slegare le società di calcio dalla reputazione delle aziende degli acquirenti. Diversamente da quanto accaduto per le big tech, il calcio è stato colpito perché visto dal partito come fonte di spreco o inefficienza nella collocazione delle risorse. Gli imprenditori cinesi rispondono in modo molto positivo e repentino agli input della leadership, e così è accaduto anche per la corsa agli investimenti nel calcio, soprattutto in Europa – con l’acquisizione di club storici come il Milan e l’Inter – per permettere alle imprese di assumere competenze tecniche nel settore e di generare soft power. Questa campagna però è risultata spesso fallimentare e ora il partito ha richiamato le società, invitandole a non sprecare soldi all’estero e concentrarsi sullo sviluppo del settore all’interno. In gioco c’è anche la legittimità del partito poiché essendoci priorità di investimento più urgenti e interne al Paese, una fuoriuscita di capitali inefficiente – come quella per gli investimento nel settore calcistico – rischierebbe di generare malcontento nella popolazione.

Articolo aggiornato il giorno 05/06/2021 alle ore 10.05