Era nato in Polonia Egon Franke, ma era presto diventato un riferimento per i giovani e le giovani che aspettava ogni giorno in pedana, per insegnare loro l’arte del fioretto. Per questa ragione la notizia della sua morte, avvenuta ieri, 30 marzo, a Chieri, dopo una breve malattia, ha lasciato un po’ più vuota l’anima della scherma italiana.
La tristezza per la sua morte va ben oltre la stretta cerchia degli sportivi, ma tra gli atleti e le atlete la sua mancanza si sente. Mancherà sicuramente per quel suo modo di insegnare capace ma umile e forse, perché no, anche per la sua bellezza sempreverde: “Era il nostro bel maestro. L’ Alain Delon della scherma dei nostri tempi. Aveva 86 anni? Beh portati divinamente”, racconta con nostalgia ancora incredula Annalisa Coltorti, ex schermitrice, oggi preparatrice atletica della nazionale di fioretto, che fu allieva di Franke negli anni Ottanta. Come tutti, lei non se l’aspettava. D’altronde anche Federscherma, nel ricordarlo, lo descrive come un uomo che non invecchiava mai: “Ho bellissimi ricordi del maestro Egon. Lo rincontravo sempre con molto affetto. Tra noi c’è sempre stata una grande stima reciproca”, continua Coltorti.
Franke vinse in tutto tre medaglie ai Giochi Olimpici di Tokyo 1964, salendo per otto volte sul podio dei Mondiali. L’amore per il fioretto fu per Franke una questione di famiglia: la sua prima allieva fu infatti la moglie Elisabetta, che proseguì una passione che arrivò anche al figlio Piotr.
La carriera di Franke si è legata a Torino per trent’anni. Un lasso di tempo trascorso sulle pedane del Club Scherma di Torino, che questa sera alle 19 osserverà un minuto di silenzio in sua memoria. Nato e cresciuto a Gliwice, quando la lo scenario politico internazionale rendeva la Polonia “l’altra parte del mondo”, Franke fu tecnico della nazionale femminile di fioretto della Polonia. Poi raggiunse l’Italia grazie alla scherma, prima Firenze e infine Torino, dove era presto diventato un “piemontese d’adozione”: “Ricordo quando ci parlava della Polonia, della vita diversa del suo Paese d’origine”, ricorda Coltorti. Per tantissime persone l’incontro con Franke è stato per prima cosa di carattere umano, quasi a dimenticare il suo valore sportivo che resta, ieri come oggi, indiscusso.