Lo scorso 11 maggio la Convenzione di Istanbul ha compiuto dieci anni. Nata in seno al Consiglio d’Europa nel 2011, la Convenzione si configura come il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto alla creazione di un quadro giuridico completo per la protezione delle donne. Il documento ha definito esplicitamente per la prima volta la violenza contro le donne come una violazione dei diritti umani.
I suoi obiettivi sono diversi, dalla prevenzione della violenza all’allargamento della rete di protezione delle vittime, fino al perseguimento penale dei loro aggressori. Per perseguire questi scopi, è stato istituito un meccanismo di monitoraggio in grado di verificare l’applicazione delle sue disposizioni, che si fonda sulle analisi condotte dai due organi che ne costituiscono i pilastri portanti, ossia il Gruppo di esperti sull’azione contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (GREVIO), un organismo indipendente composto da esperti, e il Comitato delle Parti, un organismo politico composto dai rappresentanti ufficiali degli Stati parti della Convenzione.
Il documento definisce la violenza nei confronti delle donne come “una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata”.
La Convenzione riserva una sezione anche alla violenza domestica: un problema che non riguarda soltanto le donne, ma anche altri soggetti fragili, come bambini e anziani. L’espressione, infatti, designa “tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima”.
Attualmente, i Paesi che hanno ratificato il documento sono 34, mentre gli Stati che l’hanno solo firmato sono 12. Negli ultimi 10 anni, la Convenzione di Istanbul ha preparato il terreno per la costruzione di un nuovo senso comune: ad esempio, in diversi paesi europei sono state istituite linee telefoniche gratuite di supporto per aiutare le vittime di violenza domestica. Inoltre, corso degli anni, stati come l’Islanda, la Svezia, la Grecia, la Croazia, Malta e la Danimarca hanno rivisto la definizione di “stupro” vigente nel loro sistema giuridico, adeguandola alla forma richiesta dalla Convenzione, che si basa sull’assenza del consenso nel rapporto sessuale e non più sull’uso della forza da parte dell’aggressore (che caricava la vittima dell’onere di dimostrare di aver opposto resistenza).
Tuttavia, sono stati registrati anche alcuni passi indietro, come ad esempio quello della Turchia che, a marzo, con un decreto emanato dal presidente Erdogan, ha ufficializzato il proprio ritiro dalla convenzione.