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Dal piccolo al grande schermo: i consigli cinematografici per il weekend

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Torna la consueta rubrica che, saltellando tra il piccolo e il grande schermo, vi guida alle proposte cinematografiche più interessanti. È un fine settimana particolarmente ricco nelle sale, per cui abbiamo deciso di riportarvi tra le poltrone rosse. Tre film molto diversi, accomunati da protagonisti dal grande potenziale drammatico, esaltati alla perfezione dalla regia di tre menti eccellenti: Gianluca Jodice, Pedro Almodovar e John Cassavetes.

“Il cattivo poeta”, di Gianluca Jodice (2021) (durata 106′)

Cinema Massimo h16 – h18.15, Cinema Romano h16.30 – h18.45 – h21, UCI Cinemas Lingotto h14 – h19.30

1936. Giovanni Comini è appena diventato il più giovane federale italiano del Partito Fascista. Incarna alla perfezione il progetto fascista di una gioventù fedele al regime. Ha una carriera lanciatissima, sostenuta dal segretario del partito, e suo mentore ,Achille Starace. Questi lo convoca a Roma per affidargli una missione molto delicata : dovrà sorvegliare Gabriele d’Annunzio e metterlo nella condizione di non nuocere. Il Vate, inizia infatti a manifestare segnali di sofferenza verso Mussolini e l’imminente alleanza con Hitler. La trama dell’ultima interpretazione di Sergio Castellitto plana sapientemente attorno all’esteta per definizione, al personaggio letterario a cavallo di due secoli, d’Annunzio, senza mai sconfinare nel risaputo. La lente attraverso cui lo si osserva è appunto Comini, che al cospetto del poeta, in ritiro al Vittoriale, metterà i discussione molti dei suoi ideali. Il film è il primo lungometraggio per il cinema di Jodice, regista e sceneggiatore italiano. 


“The Human Voice”, di Pedro Almodovar (2020) (durata 30′)

Cinema Centrale Arthouse, Da Mer 2 a Mar 8 – h15, Mer 9 – h13.45

Pedro Almodovar attinge, come altri prima di lui, dal testo teatrale La voix humaine scritto da Jean Cocteau nel 1928, plasmando la figura della protagonista attorno al talento di Tilda Swinton, che è anche l’ unica attrice. Muovendosi in una casa silente – ma dai toni caldi e vividi che annunciano il magma emotivo della protagonista – Swinton è una donna che attende la telefonata dell’uomo che l’ha abbandonata. Con lei Dash, cane irrequieto rimasto solo, sospeso tra l’assenza di lui e il silenzio assorto di lei. La protagonista attraversa tutte le turbolenze della sofferenza amorosa, passando dall’euforia all’idea del suicidio. Nei tre giorni di attesa, la donna esce in strada una sola volta, per comprare un’ascia e una tanica di benzina. La telefonata del partner arriva sul finale: ecco, la “voce umana” del titolo. Una voce che mai udiremo, ma che percepiamo costantemente dall’inizio alla fine del cortometraggio negli indizi che lei, essere abbandonato esattamente come Dash, comunica sugellando un’interpretazione magistrale. Il film, della durata di 30 minuti, è stato presentato fuori concorso alla 77esima Mostra del Cinema di Venezia, dove alla Swinton è stato assegnato il leone d’oro alla carriera.


Una moglie” (A Woman Under the Influence), di John Cassavetes (1984) (durata 155′)

Cinema Massimo, Sab 5, h.15.30 e Mer 9, h 18.15 (v. o. sott. ita)

Il Massimo prosegue il ciclo di film dedicati al regista americano John Cassavetes, un autentico simbolo della cinematografia indipendente degli Stati Uniti. Le storie dietro a “A Woman Under the Influence” sono molte. Per “Una moglie”, la casa della coppia di Cassavetes e della moglie Gena Rowlands fu ipotecata, al fine di poter finanziare le riprese. Il rientro economico fu però grandioso: undici milioni di dollari di incasso. Proprio a Rowlands è affidato il ruolo della protagonista Mabel, moglie dell’operaio Nick Longhetti (Peter Falk) che, pur essendo molto legata al marito, non contiene una fragilità autodistruttiva che la porta al ricovero in un ospedale psichiatrico. Apparentemente ristabilita, la donna fa ritorno a casa, ma l’instabilità della relazione familiare – vera protagonista del film – torna a bussare forte a casa Longhetti. La coppia Cassavetes-Rowlands ha giocato un ruolo fondamentale nel disgelo della critica e dell’industria cinematografica nei confronti delle idee e dello stile di Cassavetes. Una scoperta purtroppo postuma, ma che proprio a Una moglie – e al ritratto femminile indimenticabile di Mabel Longhetti – deve moltissimo.

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