La scuola chiude e gli studenti tornano in piazza Castello a protestare. Appoggiano i tablet su banchi portatili o direttamente a terra, davanti al Palazzo della Regione. I loro striscioni colorati mostrano le ragioni della mobilitazione. Da lunedì 8 marzo in gran parte della provincia di Torino è scattato il blocco delle attività didattiche in presenza che si è reso necessario per l’aumento dei contagi. Una misura obbligata dall’ultimo decreto, che stabilisce in automatico la serrata dove i casi superano i 250 ogni 100 mila abitanti o dove si è registrato un raddoppio dei nuovi casi nel corso dell’ultima settimana rispetto al periodo precedente. E così 642 comuni del Piemonte su 1181 sono stati costretti a chiudere le scuole di ogni ordine e grado, fatta eccezione per gli asili nido. A Torino per il momento sono in Dad gli studenti dalla seconda media in avanti, mentre materne ed elementari continuano in presenza, per quanto i numeri facciano presagire un inasprimento delle misure la prossima settimana.
Tra i ragazzi che hanno scelto di seguire le lezioni in piazza ci sono anche Anita e Maia, portavoci delle proteste anti-Dad di questi mesi. Siedono sull’asfalto, in prima fila. “Avrebbe più senso un lockdown che chiudere le scuole”, dicono. “Siamo arrabbiati e stanchi, anche perchè se guardiamo le immagini della movida ci accorgiamo che il problema non è nostro”. Insieme ai ragazzi, scendono in piazza anche i genitori, all’attacco dopo che il ministero si è espresso sull’esclusione dalla didattica in presenza per i figli dei lavoratori essenziali. “Sostengo mia figlia nella sua protesta perchè non è giusto che la scuola sia sempre penalizzata”, rivela la mamma di Anita. Rincara la dose Carola Messina del Comitato Priorità alla Scuola: “È passato un anno e siamo allo stesso punto, la scuola di nuovo paga un prezzo altissimo e i genitori con loro. Manca il sostegno alle famiglie e spesso a rimetterci sono le donne. Non mi sembra una grande conquista, nel giorno della loro festa”.