Uno spuntino prima del turno serale. Poi di nuovo in bici in giro per la città. È la vita di tanti rider. A Torino, si incontrano in piazzale Valdo Fusi. Non si fanno riprendere, né fotografare. È un momento solo loro. Un appuntamento conviviale, occasione per vedersi nelle pause di lavoro. Mai nessuno stop, neanche durante i mesi più duri della pandemia. Adesso, sul loro lavoro, i ciclofattorini rivendicano diritti.
“Non ci sentiamo tutelati”, dice uno di loro. “Da due anni – prosegue – si discute strumentalmente del nostro rapporto di lavoro. Da settembre, con la stipulazione del nuovo contratto collettivo non avremmo più dovuto lavorare a cottimo. Eppure, oggi non è cambiato nulla”. La condizione dei rider non accenna a migliorare. Persino la manutenzione delle biciclette è autogestita: “Abbiamo imparato a farlo tra di noi”, dicono.
“Qualsiasi sia l’insegna sotto la quale lavoriamo, siamo quelli che portano le vostre merci. Cibo, pacchi, lettere, corrispondenza”. Si presentano così su Deliverance Project, la community Facebook dei corrieri torinesi.
Neanche la maxi inchiesta della procura di Milano restituisce la speranza di nuove prospettive.
I rider non sentono vicini neanche i sindacati. Gli sportelli di ascolto attivati dalla Cisl non hanno sortito l’effetto sperato. Anzi, i lavoratori si sentono strumentalizzati: “Chiederci di tesserarci per ascoltare le nostre istanze e informarci sulle tutele che ci spettano, è solo politica”.
Intanto, si avvicina la data del 26 marzo, fissata dall’organizzazione RiderXidiritti, per lo sciopero nazionale dei fattorini. Potrebbe essere la più grande occasione di farsi sentire.