Oggi 11 febbraio è la giornata mondiale delle donne e le ragazze nella scienza. E’ stata proclamata dalle Nazioni Unite e patrocinata dall’Unesco per ricordare che la partecipazione delle donne nella scienza dovrebbe essere rafforzata e incoraggiata e che devono essere garantite pari opportunità nella carriera scientifica.
Addirittura nel 1993 la storica della scienza Margaret W. Rossiter ha coniato una particolare espressione, lʼ“Effetto Matilda” per definire la tendenza a sottovalutare o a sminuire i risultati scientifici conseguiti dalle donne.
Negli ultimi 15 anni, sono stati fatti grandi sforzi a livello globale per coinvolgere le donne nella scienza, ma permangono pregiudizi e stereotipi di genere che continuano a tenere le ragazze e le donne lontane dal mondo scientifico.
Secondo il rapporto 2018 dellʼUnesco Institutes for Statistics, tra tutte le persone impiegate in ambito scientifico, le donne rappresentano solo il 28,8%. Per questo, nel 2015 lʼAssemblea generale delle Nazioni Unite ha istituito la ricorrenza che si celebra oggi.
Così, in questo 11 febbraio, l’obiettivo di tutta la comunità scientifica è quello di esaltare le eccellenze tra cattedre e laboratori. All’interno dell’Università di Torino Futura News ha scelto di raccontare la giornata mondiale delle donne e delle ragazze nella scienza attraverso le parole e la storia della dottoressa Silvia De Francia, ricercatrice di farmacologia al dipartimento di scienze cliniche e biologiche dellʼUniversità di Torino.
L’attività della scienziata non è solo la testimonianza di una donna nella scienza, ma la sua attività scientifica pone il genere anche al centro dei suoi studi.
“Il 60% dei ricoveri di donne” dice “è causato dalla tossicità al trattamento farmacologico”. Ma perché? “Perché siamo diversi. Non solo nei singoli, ma nei generi. Uomini e donne sono biologicamente diversi, e andrebbero studiati in maniere diverse. La maggior parte dei trattamenti per le neoplasie si basano su ormoni. Ma gli ormoni maschili e femminili sono profondamente diversi”.
Come è possibile questo? “È possibile perché fino agli anni 90 molti dei farmaci ancora in commercio venivano testati esclusivamente sugli uomini. La aspirina, ad esempio. Ha effetti che fluidificano il sangue, cosa succede a una giovane donna durante il ciclo mestruale? Cʼè il rischio di emorragie”.
Il lavoro di De Francia si colloca proprio su questa linea: aumentare gli studi sui farmaci sulle donne e considerare le variabili di genere come fondamentali. Ma allora, ha ancora senso ha questa giornata?
“Dal punto di vista sociale, politico, culturale, sì. Però il cervello di donne e uomini funziona in maniera diversa. Le donne hanno molta più comunicazione interlobiale rispetto agli uomini, ne consegue una maggiore visione di insieme. Il multitasking. Ma gli uomini, dʼaltro canto, posseggono una maggiore comunicazione intralobiale, e sono più portati a sviscerare un singolo problema”.
Quindi non cʼè solo cultura dietro le basse iscrizioni di ragazze alle università scientifiche? “No. Noi donne possiamo fare tutto, ma dobbiamo valorizzare le nostre peculiarità”.
E, conclude De Francia, come messaggio da far passare durante questa giornata: “Se dovevamo capire qualcosa da questa giornata, questo può essere un inizio”.