“Le retribuzioni delle età più basse lasciano poco spazio al risparmio. Questa percezione di insufficienza nella capacità di accantonare porta a un abbandono del risparmio previdenziale fino ai 44-45 anni. Ma a quel punto la partenza è svantaggiata perché sono stati persi venti anni di rendimenti”. Poche frasi che racchiudono l’intricato cortocircuito nella creazione di una pensione per i più giovani, sempre più lontani dall’autonomia economica, incerti del futuro e appesi a un mercato del lavoro instabile. L’analisi è di Giuseppe Russo, direttore del Centro Einaudi di Torino. E si allaccia all’Indagine sul Risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani del 2023, in cui memerge, da parte degli under 35, una certa sensibilità sul risparmio: un po’ perché nel cassetto hanno il sogno di una casa di proprietà o di aiutare i futuri figli, un po’ come sana dose di prudenza.
Tuttavia, il gap sulla creazione di risparmio nel lungo periodo resta. Anche perché i giovani si trascinano “un errore di prospettiva – spiega Russo -. Se iniziassero ad accumulare anche piccole somme con strumenti come i fondi pensione negoziali o volontari, l’interesse composto genererebbe rendimenti che, nella parte finale della carriera lavorativa, sarebbero superiori ai versamenti. Non facendo così, i giovani difficilmente arriveranno a un punto di svolta”.
Pochi fondi pensione
Secondo l’ultimo monitoraggio della Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione, circa un quarto dei fondi pensioni aperti in Italia è legato agli under 35. In quelli negoziali, la torta si assottiglia ancor di più con il solo 10%. A livello regionale, il Piemonte è quarto per iscritti a previdenze complementari (9,4%). Si posiziona alle spalle di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, con cui condivide tassi più alti di donne rispetto agli uomini.
Per chi invece si chiedesse qual è la macroarea più virtuosa nella pratica del risparmio, la risposta è il Centro Italia. Come evidenzia l’Indagine sul Risparmio, il Nord Ovest è al secondo gradino del podio e vede numeri consistenti di risparmiatori mettere via meno del 5% del reddito annuo oppure più del 20%.
Per Russo è un fenomeno connesso all’anzianità della popolazione e la crescita economica in affanno della zona: “A differenza del Nord Est, il Nord Ovest è demograficamente più maturo e ha una percentuale di imprese e imprenditori tale da consentire una concentrazione di fortune accumulate negli anni passati. Il tasso di crescita – continua Russo – è basso e ciò determina che soprattutto le fasce di reddito più giovani abbiano meno risorse da risparmiare”.
Conti corrente
La generazione Z sta sì crescendo, ma continua a muovere i primi passi nel mondo del risparmio passando esclusivamente dalle banche per l’apertura di conti correnti. In questo senso, in Piemonte di riscontri ce ne sono. Per il target under 30, Banca di Asti ne conta oltre 13mila, di cui 213 ottenuti tra giugno e settembre del 2023, grazie all’iniziativa “Sbam!” che incentivava ad aprire un conto in cambio di 300 euro in credito da spendere in esperienze. Quanto basta per far passare la media giornaliera di conti corrente attivati da 19 a 31.
In tutto il Piemonte, Bper Banca stima 27mila clienti con età inferiore ai 35 anni, il 63% dei quali ha il conto aperto. E a Torino 5.600 ragazzi e ragazze per 2.100 conti corrente in vita. Negli ultimi cinque anni, invece, Unicredit ha raccolto 82.742 conti corrente su tutto il territorio regionale. La maggioranza è nelle filiali torinesi (57.786), a Cuneo ce ne sono 7.802, ad Alessandria e a Novara intorno ai 5mila complessivi e ad Asti 2.645. A chiudere la classifica c’è il Comune di Verbania con 1.400 unità. Intesa San Paolo, Mps, Poste Italiane e Banca del Piemonte non hanno voluto diffondere alcun dato. Nessun risposta, invece, da Banco Bpm e Bnl.
Secondo un’indagine di Banca d’Italia, sono proprio i giovani la fascia sociale con i numeri più bassi, nonostante dal 2020 al 2022 abbiano visto un aumento delle spese per disposizioni e quelle variabili. I canoni dei loro conti corrente sono solitamente inferiori rispetto a quelli per un over 40. Però le poche entrate reddituali e il conseguente freno al risparmio di certo non aiutano.
Professione: venture capitalist
Ponderare il rischio degli investimenti come materia didattica. La proposta arriva da Gabriele Fenoglio, 29enne nato a Pinerolo, in provincia di Torino, professione venture capitalist. Associato al Club degli Investitori di Torino, fin dalle prime lezioni in Finanza all’Università degli Studi di Torino si è affacciato al mondo degli investimenti.
Al punto da ritagliarsi ruoli di rilievo nella gestione di fondi di credito ed equity, prima nel fondo londinese Negetropy Capital Partners e dopo nella società Atlas, che punta su capitalizzazioni alternative. Da un anno è entrato in Cassa Depositi e Prestiti. E continua a osservare con attenzione dove soffia il vento dei titoli di mercato.
Dove guardano i giovani venture capitalist?
“Negli ultimi anni c’è sempre più attenzione ai criteri sostenibili Esg (Environment, Social e Governance, ndr). Gli investitori più giovani sono molto consapevoli delle ricadute sociali e ambientali e hanno una forte sensibilità verso temi come la lotta all’inquinamento. Per questo, stanno aumentando i loro investimenti in questa direzione, focalizzandosi sul medio lungo termine e sacrificando il carattere puramente speculativo”.
Quali sono le sfide più rilevanti?
“Quelle legate alla transizione ecologica e alla space economy. La necessità di abbracciare le fonti energetiche alternative mi ha portato a investire su Newcleo, startup che punta sul nucleare di quarta generazione. Per quanto riguarda l’economia circolare dello spazio reputo indispensabili settori come la rimozione dei satelliti, dei rifiuti spaziali e, in futuro, forse, anche l’estrazione di materie rare da asteroidi vicino alla Terra o altri corpi celesti”.
Torino è attrattiva in questo senso?
“La città sta crescendo e, pur mantenendo un Dna improntato sull’automotive, ha un ecosistema vivace di startup e menti accademiche molto forti, soprattutto nel campo ingegneristico grazie al Politecnico. Inoltre, è vicina a Milano, ma ha costi della vita più bassi. Ammetto che non mi dispiacerebbe tornarci a vivere”.
Eppure gli investimenti globali nelle startup sono pressoché dimezzati nel 2023.
“Investire in startup è rischioso: la percentuale di successo è bassa. Sia prima che dopo la pandemia, c’è stato un boom di investimenti in startup allo stadio early, in fase di pre-finanziamento, e scale-up, a valutazioni altissime. Il repentino aumento dei tassi d’interesse e l’inflazione, però, hanno creato un cortocircuito nell’ecosistema e negli investimenti. Per questo, adesso, c’è più attenzione ai potenziali ritorni economici e alla selezione in termini di qualità”.
Cosa trasmettono i giovani che si tuffano nel mondo dei mercati finanziari?
“C’è molta ossessione al guadagno rapido e facile. Il problema è che in realtà non funziona così. Nel mondo delle crypto valute, per esempio, spesso manca la consapevolezza degli strumenti operativi che si hanno in mano. Tant’è che tanti si buttano sul trading, senza informarsi adeguatamente, correndo il rischio di perdere molti soldi in poco tempo”.
Come si risolve questa situazione?
“Potremmo introdurre l’educazione finanziaria come insegnamento a partire dagli ultimi due o tre anni di liceo. In confronto con gli altri Paesi europei, l’Italia ha un gap enorme sull’educazione finanziaria. Quando le persone sanno come gestire in modo efficace le proprie risorse finanziarie e prendere decisioni sagge in termini di risparmio e investimento, guadagnano una sicurezza finanziaria maggiore. Servono accortezza e conoscenze di base nella gestione del portafoglio”.
Educazione finanziaria con la gamification
“Gli studenti delle università sono difficili da raggiungere con l’educazione finanziaria”. Nelle parole di Marco Crivello, responsabile delle attività didattiche del Museo del Risparmio di Torino, emergono tutte le difficoltà di avvicinare gli under 30 all’alfabetizzazione finanziaria. Uno scoglio confermato dall’ultimo monitoraggio di Banca d’Italia, in cui i più giovani registrano il punteggio medio più basso: 9,8 in una scala da 0 a 20. Una rilevazione che li attesta perfino sotto agli over 65 (10,3) e alla media complessiva di 10,6. Tradotto: gli italiani registrano ancora un basso livello di conoscenza finanziaria di base, nonostante un lieve miglioramento negli ultimi tre anni, e i giovani ancor di più.
Per alzare l’asticella e trasmettere maggiore consapevolezza su risparmi e investimenti, c’è chi ha deciso di puntare sulla gamification. Il Museo del Risparmio di Intesa San Paolo, banche e aziende come Satispay si tuffano sull’interazione ludica per far capire ai più giovani concetti come inflazione, tasso d’interesse e diversificazione del rischio.
Un gap scolastico
Le modalità sono le più varie: dallo scenario che porta in un’isola deserta nelle vesti di primo ministro e ragionare su come ridurre il rapporto debito-Pil, fino al risparmio di 50 euro ogni volta che vince la propria squadra del cuore. Ma perché persiste questo gap generazionale? Per Crivello, uno dei motivi sta nella difficoltà a “intercettare gli universitari e i giovani adulti. Al di là delle uscite didattiche di alcuni professori dei master e alcune presenze nei corsi online di educazione finanziaria, gli studenti delle università sono difficili da raggiungere”.
Le gite delle scuole primarie e secondarie, invece, garantiscono presenze consistenti di giovanissimi pronti a snocciolare l’abc dell’economia e della finanza. «Al Museo del Risparmio, organizziamo laboratori e percorsi didattici – continua Crivello – che grazie alla gamification mantengono effetti duraturi nell’assimilazione di parole come conto corrente, welfare e pensione. Per i più piccoli sfruttiamo cartoni animati e video su tematiche legate alla moneta e al sistema previdenziale. Ai ragazzi più grandi, invece, diamo anche la possibilità di sfruttare app per calcolare l’impatto economico della realizzazione del proprio sogno”.
Banche e gamification
Anche qualche banca cavalca l’onda della gamification. Crédit Agricole, affiancato dal servizio digitale Gimme5, sfrutta un po’ d’inventiva nel risparmio: mettere da parte i soldi in automatico quando vince la squadra di calcio per cui si tifa oppure il girono del compleanno. Gli uffici marketing dell’istituto fanno sapere che, entro aprile, questa impostazione verrà integrata con un nuovo format indirizzato all’educazione finanziaria. “Grazie alla partnership con Amundi, sfrutteremo un linguaggio molto più giovane e social dentro la nostra app”.
Da 9 anni UniCredit ha attivato il programma Startup Your Life, un programma di educazione finanziaria e imprenditoriale con focus sui criteri della sostenibilità. Nel 2023 ha coinvolto 26mila studentesse e studenti, per un totale di 430 scuole in tutta Italia, con contenuti interattivi su piattaforme digitali, lezioni frontali e project work. La lista dei progetti di UniCredit continua. C’è anche Save4Young, lanciato nel 2020 e dedicato esclusivamente agli universitari. Negli ultimi tre anni sono stati 120mila gli studenti e le studentesse coinvolte. Come funziona? Sulla piattaforma Skuola.net vengono proposti approfondimenti, video pills e un webgame su tematiche di carattere finanziario.
Un altro format è “Conversazioni sul Denaro“, un percorso con live talk e video lezioni on demand per far crescere la financial literacy e sensibilizzare le donne sui fattori culturali che incidono nella gestione del denaro e porre la lente d’ingrandimento sulla connessione tra competenze finanziarie ed empowerment femminile. Al fianco di Equonomics, società fondata dalla professoressa Azzurra Rinaldi, e Open Influence, nel 2023 sono state poco più di 41mila i giovani coinvolti.
Bper Banca ha pubblicato un libro illustrato, “Tarabaralla – Il tesoro del bruco baronessa” (edito in collaborazione con Carthusia) per parlare di educazione finanziaria ai più piccoli. Oltre a podcast e lezioni frontali nelle scuole, il gruppo sta spingendo sui cartoni animati per accompagnare i bambini a capire il mondo economico. Ne è esempio il Cartoon Valle di Parsimonia inserito nel progetto “Grande!”, rivolto agli under 12.
Come si muovono le aziende?
Quella dei giochi per arrivare a una piena autonomia nel mondo economico è una missione anche per Satispay, la startup di pagamenti digitali originaria di Cuneo. L’azienda ha come obiettivo “quello di creare un’indipendenza finanziaria a prescindere dalla pensione in modo semplice e giocoso – dice il co-founder Alberto Dalmasso -, passando dall’abitudine del pagamento, del risparmio e dell’investimento che ancora oggi purtroppo abbiamo in pochi e sviluppiamo troppo in là negli anni”.
Sul fronte degli investimenti (soprattutto online), restano delle regole auree da mantenere salde. Come spiega Crivello, “si incorre sempre su un profilo di rischio diretto e come Museo del Risparmio consigliamo di rivolgersi a professionisti del settore. È giusto poi parlare di pianificazione tramite il risparmio investito, per esempio con piani di accumulo o fondi pensione, spiegando vantaggi e svantaggi ma, alla fine, la scelta se attivarlo o meno dev’essere presa dal singolo utente”.
Paghetta digitale, l’esperimento di Satispay
Paghetta digitale, pagamenti con lo smartphone e abitudine alla gestione di un portafoglio. Satispay apre le porte ai giovani tra i 14 e 18 anni. Una scelta frutto delle richieste “dei genitori perché vedevano una possibilità maggiore di controllo nei confronti dei figli e delle loro spese”, spiega Alberto Dalmasso, co-fondatore della startup “unicorno” di pagamenti digitali che ormai raggiunge oltre 4 milioni di utenti tra Italia, Francia e Lussemburgo.
Come nasce questa novità?
“Nasce dalla consapevolezza che il range di età fra i 14 e 18 anni è quello giusto per iniziare a portare le persone verso strumenti di pagamento e risparmio. L’avremmo voluta lanciare prima ma andavano valutate diverse aree aziendali, come quelle legali e dello sviluppo. La ricezione è comunque buona: più di 7mila minori già la utilizzano”.
Può educare al risparmio?
“Almeno una volta su due, quando la gente mi parla di Satispay, mi dice che la funzionalità preferita sono i salvadanai. Ciò mi lascia sempre sorpreso, visto che l’applicazione è nata come strumento di pagamento. È un entusiasmo che, tuttavia, comprendo perché magari una volta alla settimana la gente riesce a mettersi da parte 100 o 200 euro grazie a un po’ di metodo”.
Quali sono i prossimi step?
“Nei prossimi mesi vogliamo strutturare di più la parte salvadanaio, facendolo diventare anche strumento di investimento. Ci piacerebbe fare educazione finanziaria in modo attivo tramite la gamification. In questo modo c’è la possibilità di risparmiare dandosi degli obiettivi e la porta agli investimenti si aprirebbe a 30 anni e non a 40”.
Negli ultimi anni l’uso del contante è in calo ma l’Italia resta ancora frammentata con divari tra macroaree. Perché?
“Per dare un servizio di qualità di pagamento digitale, sarebbe opportuno che quasi tutti i negozi di una città lo garantissero. Noi non abbiamo ancora la forza di arrivare in tutta Italia ma stiamo crescendo in 52 città, nella speranza che diventino 200 nel giro di un paio di anni”.