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Impastato e la Sicilia “che non possiamo accettare”

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“I mafiosi non sono marziani, son esseri umani in carne ed ossa come noi”. Giovanni Impastato, fratello maggiore di Peppino, cita Giovanni Falcone durante la presentazione del suo nuovo libro Il coraggio della memoria. Scritti, analisi e riflessioni. “Noi – dice Impastato – grazie al coraggio della memoria abbiamo sconfitto la mafia. Non esagero, l’abbiamo sconfitta. Con il sacrificio di Peppino”. Parole forti, che Impastato pronuncia di fronte a una platea gremita al Salone del Libro di Torino.

Ma questo, non significa che la mafia sia debellata del tutto. “Se in certi casi la mafia è apparsa invincibile, noi lo dobbiamo motivare”. E qualcuno deve rendere conto del perché, in quel contesto, la mafia abbia prevalso. Il pensiero va subito a Matteo Messina Denaro. “Quella non è una Sicilia che possiamo accettare – continua Giovanni -. Non è possibile che un criminale venga coperto per tutti questi anni da un alone di omertà e cultura mafiosa”. 

Messina Denaro e quella “Sicilia che non possiamo accettare”

“Il medico che conosceva entrambi i Bonafede, quello vero e il boss, il barista, la caserma dei carabinieri che non si sono mai accorti di nulla – denuncia Giovanni Impastato -. Ma la cosa più grave è stata quella maestra che faceva disegnare i bambini in nome della legalità, ed era figlia e moglie di ergastolani, e non solo: anche amante di Messina Denaro. Coperta da tutti, anche dalla dirigente scolastica”. Applausi, qualcuno dal pubblico lo incoraggia ad andare avanti. “Noi non vogliamo questa Sicilia. Noi vogliamo una terra di accoglienza e inclusione”. Un attimo di silenzio, il pensiero vola alla moltitudine di sbarchi a Lampedusa. E Impastato si spinge proprio lì. “Servirebbe una battaglia di giustizia sociale per buttare nella spazzatura i decreti sicurezza. Sono retaggi della criminalità fascista. E il fascismo è un crimine al pari della mafia”.

Di omertà aveva parlato poco prima anche il giornalista Giacomo di Girolamo, in allarme proprio riguardo lo scenario emerso a Campobello di Mazara. “A me non preoccupa il silenzio delle persone – ha detto Di Girolamo – hanno anche ragione. Non dobbiamo chiedere a pochi coraggiosi di mettersi sulle spalle le irresponsabilità di tanti altri, comprese le istituzioni”.

La lettera alla figlia di Messina Denaro

Non è la prima volta che Giovanni Impastato scrive una lettera a figli di boss mafiosi. Lo aveva fatto con i figli di Provenzano, per chiedere loro di emanciparsi dal genitore, ossia riconoscere le proprie responsabilità e convincerlo a pentirsi. “Io mi sono trovato nella loro condizione, quindi ho voluto essere solidale ma allo stesso tempo incitarli a prendere le distanze”. Rifiutare il contesto mafioso non è sufficiente, per Impastato bisogna condannarlo anche formalmente e quindi, appunto, emanciparsi.

“Ho scritto anche a Lorenza Messina Denaro. Il problema non è ripudiare il padre, lei deve aiutarlo a pentirsi. Riconoscere che tuo padre ha sciolto un bambino di 12 anni nell’acido, riconoscere che era un mafioso. È giusto stargli vicino ed emanciparsi non significa mancargli di rispetto, è un modo di non condividere le sue idee”.

“Non dobbiamo avere paura dei fantasmi”

Nella storia di Peppino Impastato, “I cento passi non sono solo il titolo di un film o di una canzone – spiega Impastato -. È una realtà storica: la distanza tra la nostra casa e quella del boss mafioso Gaetano Badalamenti. Io non credo ai fantasmi. Quelle mura, che hanno visto non solo l’omicidio di Peppino ma anche altre ingiustizie, non devono far paura. In quella casa adesso ci siamo noi, la società civile. Oggi i mafiosi non ci sono più, lì. È una battaglia di civiltà”. 

La casa Impastato è diventata un museo, per volere di mamma Felicia. “È stata lei a volere l’apertura della casa al pubblico, dopo l’assassinio del figlio”, racconta Evelin Costa, che oggi è uno dei volti di Casa Memoria. “Un gesto rivoluzionario: trasformare il proprio dolore in un messaggio collettivo. Felicia è stata in grado di rompere il muro del silenzio”. Si lavora tutti i giorni dell’anno, a Casa Memoria, per raccontare la storia di quel ragazzo che decise di rompere con la famiglia mafiosa di cui faceva parte, e venne punito con la morte. “Come dice Giovanni, da noi viene l’Italia migliore – prosegue Costa – le persone che vogliono uscire da questo sistema, che lottano per un mondo migliore”.

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