La sanità è scivolata in secondo piano nell’agenda politica, soprattutto dopo la fine della pandemia, ma sta raggiungendo un livello molto critico. Gli investimenti del governo non sono adeguati, le liste d’attesa sono lunghe e la privatizzazione dilaga. Solo chi paga si cura in tempi accettabili. Tante le questioni da affrontare, lo sa bene Guido Giustetto, presidente dell’Ordine dei medici di Torino.
Quali sono i problemi che oggi la sanità deve affrontare?
Il problema principale è la carenza di medici, la mancanza dei posti letto negli ospedali, l’età alta degli edifici. Abbiamo degli ospedali che hanno più di 100 anni, mi riferisco a Torino, penso alle Molinette. Tornando alla carenza di personale, essa riguarda sia i medici sia tutto il personale infermieristico . Questo è dovuto al fatto che si è sbagliata o non si è quasi fatta una programmazione attenta sul fabbisogno di personale, anche rispetto a come era l’andamento dei bisogni della popolazione e delle famiglie. Infine i medici italiani hanno una delle età medie più alte in Europa.
Conferma che anche a Torino sono più i medici che vanno in pensione rispetto ai nuovi arrivati?
Purtroppo sì. Ci sono delle carenze. I cittadini non li trovano letteralmente negli elenchi delle Asl i medici a cui iscriversi. Ad esempio oggi a Torino mancano i pediatri. C’è poi la questione della lunghezza delle liste d’attesa. Si parla a volte di interventi molto urgenti che richiedono settimane se non mesi per essere eseguiti. Il vero problema sono tutti gli accertamenti specialistici: da una normale ecografia a una colonscopia, a una risonanza fino a una tac. In questi campi i tempi di attesa sono diventati non di settimane o di mesi, ma in alcuni casi di oltre un anno.
Passiamo ora al tema dei medici a gettone.
Questo nasce da quando un certo numero di dottori che facevano parte del servizio sanitario nazionale hanno lasciato il proprio lavoro, date le condizioni di lavoro molto pesanti, soprattutto alcuni reparti. Lavorare come medici a gettone permette loro di avere dei guadagni molto più alti. Il problema non è soltanto questo. L’altro aspetto grave è che non si integrano per nulla nell’assistenza di quel territorio e nemmeno di quell’ospedale, perché vengono solo alcune notti o in determinati giorni. Questo avviene perché possono provenire anche da regioni molto lontane. Magari fanno dei turni per tre giorni consecutivi e poi ovviamente vanno via. In questo modo non si crea nessun legame con gli altri colleghi.
Altro tema caldo è quello della privatizzazione della sanità.
Secondo alcuni calcoli, almeno negli ultimi 15 anni sono stati sottratti non meno di 30 miliardi agli investimenti nella sanità. Ovviamente ciò ha avuto un impatto notevole su tutta una serie di ambiti laddove il servizio sanitario pubblico non era in grado di investire perché non c’erano più i finanziamenti. Lì si è inserito il settore privato. Ci si è resi conto che il settore sanitario garantisce dei redditi e delle entrate finanziarie molto alte. In un ospedale pubblico si pensa ad avere le risorse per risolvere il problema paziente, in una situazione privata si riflette sul fare utile. Si selezionano quindi le attività più remunerative. Ciò comporta che si riducano molto i tempi lavorativi. Non dico che i medici che lavorano nelle strutture private siano meno qualificati, però i loro tempi di lavoro sono sicuramente influenzati da un altro punto di vista. La gran parte di questa attività vengono offerte ai cittadini a pagamento, ma c’è poi la questione delle strutture convenzionate. I tempi d’attesa quando lei richiede una visita sotto la voce della convenzione non sono tanto diversi da quelli di un ospedale, poi però quando invece si dice che si è disponibili a una visita privata, diventano di tre o quattro giorni.
Quanto dovrebbe aumentare l’investimento del Governo per vedere dei miglioramenti?
Sono usciti diverse stime che chiedono di incrementare di 20 miliardi di euro sull’investimento attuale, che è intorno ai 124 miliardi. Il problema è che la forbice che c’è tra noi e gli altri paesi si sta allargando nel tempo. Se si fa riferimento ai dati dell’Ocse, evidenziano come se 10 anni fa c’era una differenza x tra l’Italia e la Germania o la Francia, oggi essa è di x più y. In poche parole è ancora aumentata.
Dalla pandemia quindi non si è imparato niente.
Questo è sorprendente perché in effetti c’era l’impressione che piano piano questa situazione sarebbe migliorata visto quello che era capitato. Ma non è avvenuto. Qualcuno dice che adesso la spesa è aumentata. Ma le cifre sono finalizzate strettamente a problemi specifici come la pandemia. Nella realtà non ha inciso per nulla sull’attività ordinaria di tutti i giorni. Gli ospedali sono rimasti quelli che erano. I medici anzi sono tendenzialmente ancora un po’ diminuiti.