La guerra in Ucraina ha portato a un vertiginoso aumento del numero delle persone che lasciano il Paese d’origine per fuggire dai bombardamenti. Secondo quanto riferisce l’Onu, in 10 giorni, sono fuggiti più di 1,5 milioni di ucraini. Alessandro Balbo, reporter di Futura, è partito venerdì 4 marzo insieme a Rainbow For Africa, un’associazione senza fini di lucro che opera nell’ambito dello sviluppo e della cooperazione internazionale, per documentare la situazione a Siret, città nel distretto di Suceava al confine tra Romania e Ucraina. Il progetto dell’associazione era quello di effettuare un sopralluogo per un eventuale intervento umanitario sul posto.
“La situazione è quella di una grande mobilitazione da tutta Europa e dal tutto il mondo, da parte di associazioni e cittadini – racconta Balbo -. La strada principale, subito dopo il valico di frontiera, sembra quasi una sagra di paese con numerosi banchetti che offrono assistenza di cibo, beni. Le persone che arrivano, per ora, appartengono principalmente alla classe medio-alta: hanno la possibilità di spostarsi e, soprattutto, sanno già dove andare. Coloro che stanno nei campi, si trovano lì solo per ricevere i documenti necessari. Una volta ottenuti, partono immediatamente con pullman e mezzi privati. I campi che stanno sorgendo ospitano le persone per un massimo di 48 ore. C’è un campo principale nei pressi nello stadio, che ha 400 posti disponibili, e un altro a pochi chilometri di distanza che è una ex-palestra”.
La situazione al confine tra Ungheria e Romania la seguente: “I profughi sono solo quasi esclusivamente donne, bambini e anziani – spiega -. Gli uomini tra i 18 e 60 anni non possono lasciare l’Ucraina. Alla frontiera, ieri sono passate circa 8mila persone e, in totale, in Romania sono più di 70mila i profughi ucraini. C’è una coda infinita alla dogana dal lato dei “non-Unione Europea”. Anche se siamo all’interno dell’Ue, c’è una coda separata per gli ingressi provenienti da aree non appartenenti all’Unione Europea. Noi siamo potuti passare per via della condizione medica di una persona che trasportiamo. Ma per gli ucraini c’è una coda di 4 ore”.
Non tutti i profughi sono di nazionalità ucraina, prosegue Balbo: “Una delle testimonianze è quella di 20mila indiani che studiavano in Ucraina ora stanno andando verso la Romania – racconta il nostro inviato -. Il governo indiano li sta recuperando vicino alla località di Suceava. Poi c’è la storia di una famiglia ebrea. Il padre è andato in Israele all’età di 17 anni e lì ha conosciuto la guerra. Poi è ritornato in Ucraina e, ora, si ritrova a di nuovo far fronte alla guerra con una figlia di 2 anni. E’ riuscito a uscire dal Paese solo grazie alla doppia cittadinanza (israeliana e ucraina)”.
Alessandro, insieme a Rainbow For Africa, ora è diretto verso il Policlinico di Milano. “Portiamo con noi – afferma – una madre e un bambino di età inferiore a un anno, bisognoso di trattamenti medici che in Ucraina non può ricevere”.
Anche su flussi e gestione degli interventi, in ogni caso, è difficile fare previsioni, conclude Balbo: “È ancora presto, bisognerà capire in che modo intervenire efficientemente col passare del tempo: ora le persone sanno dove andare, in futuro probabilmente il flusso cambierà in funzione degli ultimi, di chi non sa dove andare. È prevedibile, in ogni caso, un forte aumento di presenze di profughi nei campi”.