Ora dopo ora si susseguono e accavallano aggiornamenti sulla guerra alle porte dell’Europa. Nella notte è iniziata l’offensiva russa e, mentre le persone a migliaia fuggono da Kiev, il presidente dell’Ucraina Zelensky ha dichiarato l’applicazione della legge marziale. Anche se la sproporzione in termini di risorrse militari è palese, il popolo ucraino non sembra volersi arrendere senza combattere.
Una situazione ancora da capire
“I dettagli dell’avanzata non sono noti. Quello che possiamo dire è che lo sforzo russo non è sulla manovra terrestre – spiega Matteo Mazziotti Di Celso, responsabile affari militari per il centro studi Geopolitica.info –. Per il momento Mosca punta su attacchi a distanza con i missili per colpire obiettivi sensibili, come i sistemi di difesa antiaerea, aeroplani e caccia. Dopodiché ci sono i radar e i nodi di collegamento ferroviari. Tutto quello che domani potrebbe essere fondamentale per la difesa da un attacco terreste è al momento in pericolo”.
Il numero delle truppe coinvolte non è facile da quantificare, ma si conoscono già i fronti da cui muove l’offensiva:
“I numeri non li sa nessuno, non ci sono stime perché la manovra terreste non è la prima parte dell’operazione. La manovra viene dalla Bielorussia, dalla Crimea e dal Donbass. La Bielorussia al momento ha già disposto 30 mila uomini”, continua sempre Mazzotti di Celso. “Migliaia di persone stanno lasciando Kiev. il presidente Zelensky ha proclamato la legge marziale per mettere ufficialmente il Paese in stato di guerra”.
Due ordini di grandezza: lo scontro è profondamente sbilanciato contro l’Ucraina
La sproporzione tra le parti in conflitto ricorda Davide contro Golia: “Il gap militare è gigantesco, soprattutto in questa fase. Le forze ucraine non possono offrire una risposta sul piano aereo. Kiev subisce l’attacco in maniera palese. Stiamo assistendo alla fase preparatoria dell’azione terreste che impiegherà decine di migliaia di uomini dalla Russia”.
La domanda che sorge spontanea è quanto potrà resistere l’Ucraina all’attacco senza aiuti esterni da parte dell’Occidente.
“Dipende dall’atteggiamento che assumono – commenta l’esperto –. Gli ucraini non possono impedire l’offensiva russa. Possono effettuare una ritirata o tenere il fronte e rallentare l’avanzata del nemico. Dubito possa arrivare un intervento straniero, le cui implicazioni sarebbero enormi”.
L’Ucraina come invenzione della Russia
Nei giorni scorsi, il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha parlato dell’Ucraina come di una invenzione di Lenin, il rivoluzionario bolscevico autore della Rivoluzione d’Ottobre e della nascita dell’Unione Sovietica. I suoi confini vennero decisi a tavolino, come racconta il politologo e docente dell’Università di Torino Giovanni Borgognone:
“Al di là delle ragioni che il leader russo ha adoperato per giustificare l’aggressione militare, focalizzate sulla sicurezza russa, sui timori per un’espansione della Nato o su quelli complottistici di un accordo segreto tra Washington e Kiev per riportare in territorio ucraino armamenti nucleari, alla base delle scelte politiche di Putin vi è la nozione nazionalista/imperiale secondo cui l’Ucraina non sarebbe altro che un’appendice della Russia e che la sua indipendenza sarebbe stata semplicemente il frutto di un artifizio politico.
L’affermazione, secondo Borgognone, non giustificherebbe l’offensiva messa in atto, ma non sarebbe priva di verità:
“Il presidente russo ha preso le mosse da un fattore storico reale: i suoi predecessori sovietici, in effetti, posero le premesse di un incubo demografico, delineando a tavolino i confini interni delle diverse repubbliche dell’Urss. Sulla base di questo presupposto, però, Putin pare essere giunto alla conclusione che nessuno dei nuovi Stati emersi dal collasso sovietico, esclusa ovviamente la Russia, sia realmente una nazione (con lo stesso ragionamento, a ben vedere, anche molte nazioni europee e di altre regioni del mondo non potrebbero considerarsi al sicuro). La pretesa del leader del Cremlino è che solo Mosca abbia diritto di giudicare quale possa essere o non essere uno Stato sovrano nell’area ex-sovietica”.
La forza come sola ragione
Per Putin, la sola arma rimasta è quella letteralmente intesa. L’uso spregiudicato della forza e del dominio dei più deboli, contro ogni principio di negoziato o di diplomazia:
“Su queste basi la Russia sta dunque procedendo con risolutezza nella logica della politica di potenza che persegue da oltre un decennio, nutrendo l’ambizione di ripristinare la propria egemonia sull’Europa orientale. Con motivazioni simili a quelle addotte ora, già nel 2008 il Cremlino decise di intervenire militarmente in Georgia (dichiarò di voler proteggere le minoranze etniche russe presenti nel territorio georgiano). Nel 2014 strappò poi la Crimea all’Ucraina, così avviando un’intensa politica di destabilizzazione dell’area, dando sostegno alla guerriglia dei separatisti filorussi nell’Ucraina orientale e descrivendo il governo di Kiev come un regime fascista nelle mani dell’Occidente. Quello odierno è pertanto “solo” il nuovo capitolo di una storia più lunga e di una trama che il leader russo ordisce da molto tempo”.
Via alle sanzioni, ma la crisi energetica spaventa l’Occidente
Mentre si imbracciano le armi a nord del Mar Nero, per quello che nei fatti è il primo grande conflitto militare su larga scala nel vecchio continente dai tempi dalla guerra nei Balcani, bisogna interrogarsi sul ruolo delle potenze occidentali. Usa e Ue non interverranno militarmente, ma sceglieranno la via delle sanzioni economiche. Ma è possibile fare fronte alla conseguente crisi energetica?
“L’Occidente intenderebbe così fare pagare alla Russia per l’invasione dell’Ucraina un conto che essa non si può permettere. Putin fa affidamento invece sulla sua visione di un mondo occidentale decadente, debole e pigro, e pertanto non in grado di reagire con forza e determinazione. L’Occidente è in effetti vulnerabile: buona parte dell’Europa dipende dal petrolio e dal gas russi. Negli Stati Uniti l’amministrazione Biden ha provato a rassicurare gli americani sul fatto che le sanzioni nei confronti della Russia non avranno come effetto un aumento dei prezzi dell’energia. Come se non bastasse, le sanzioni hanno inoltre un potenziale effetto collaterale sull’opinione pubblica del paese che le subisce: possono essere adoperate, infatti, come dispositivo retorico per alimentare ulteriormente l’odio nei confronti di un “perfido Occidente” che le ha imposte. Per tutte queste ragioni la partita è molto complessa”.
Ma chi sarà davvero il grande sconfitto dopo le sanzioni ecomoniche? Ha risposto Lorenzo Riggi, sempre dal centro studi Geopolitica.info:
“Molto difficile dirlo perché il tema è complesso. Se venisse toccato in particolare il settore energetico, le ripercussioni economiche sarebbero gravi per entrambe le parti: il paese che importa è dipendente tanto quanto chi esporta. L’import italiano di gas naturale proviene per il 40% annuo dalla Russia, ma ci sono paesi ancora più esposti come la stessa Ucraina e i paesi dell’Est che appartengono alla Nato. Le sanzioni spingerebbero al rialzo le materie prime con conseguenze devastanti per le economie degli stati dell’Ue. Si tratta comunque di misure eccezionali, motivate dal precipitare della situazione. È possibile che successivamente (in seguito a ulteriori negoziati tra le parti) vengano ritirate, perché al momento sembra che l’obiettivo della Russia non sia invadere l’Ucraina sul lungo periodo, ma solo ampliare la cornice di sicurezza delle autoproclamate Repubbliche di Donetsk e Lugansk. Ma occorre essere cauti perché la situazione militare è ancora in divenire.