La testata del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino

Trent’anni fa l’inizio di Tangentopoli, Gherardo Colombo: “La corruzione va a affrontata a livello educativo”

condividi

È il 17 febbraio 1992: Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio ed esponente di rilievo del partito socialista milanese, viene arrestato. L’accusa è di concussione. L’indagine sulle tangenti per le pulizie nella casa di riposo sarà il primo atto di un’inchiesta che gli stessi magistrati avevano raccolto sotto il nome di “Mani Pulite”. Nasce così Tangentopoli

Sono passati trent’anni esatti dalla sera che rappresentò la scintilla dell’incendio sociale, politico e giudiziario che segnò il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica. In tutto questo tempo, prese di posizione e testimonianze si sono sovrapposte alle sentenze giudiziarie e a quelle politiche. La mole di documentazione disponibile risulta oggi di proporzioni mastodontiche, con articoli di opinione, libri, saggi, raccolte e documentari che vanno a formare uno dei mosaici più complessi, frastagliati ed affascinanti della nostra storia repubblicana.

La vicenda Chiesa, ad ogni modo, rappresenta la prima tessera di un domino enorme. Un domino che, lentamente, iniziò a crollare e arrivò a scoperchiare un sistema di corruzione endemica del nostro Paese: una rete occulta di finanziamenti per i principali partiti politici che avevano governato dal secondo dopo guerra. Gherardo Colombo, all’epoca – insieme a Antonio Di Pietro e Piercamillo Davigo – faceva parte del pool di Mani Pulite.

Qual è il primo ricordo che le torna in mente rievocando il periodo di Tangentopoli?

“I primi ricordi sono l’inizio e la fine. L’inizio, per me, è stato quando ho detto di sì al procuratore aggiunto, Gerardo D’Ambrosio, che mi stava sollecitando da almeno un mese a entrare nell’inchiesta. Era il 27 aprile 1992. La fine, invece, è stato l’ultimo giorno in cui sono stato alla procura di Milano, a fine giugno 2005. In particolare, quando ho firmato l’ultimo atto che aveva a che fare con le corruzioni del complesso di dati che avevamo raccolto. È il momento che io considero la fine di Mani Pulite.”

Molto a freddo, come valuta l’atteggiamento che i giornali, le televisioni e in generale il comparto mediatico nazionale adottarono nei confronti del fenomeno Mani Pulite, allora? Si trattò di una vera e propria gogna mediatica?

“Molto stava al travisamento del sistema penale, che era diventato il canale per la modifica della (mettiamola tra virgolette) “morale”. Io credo che i giornali abbiano avuto allora e continuino ad avere una grandissima responsabilità sotto questo profilo. Provi a pensare solo a quanto è diversa l’ampiezza e la sottolineatura della notizia del coinvolgimento di una persona nelle indagini rispetto all’evidenza della notizia di scagionamento. L’informazione di garanzia ha una risonanza incredibile, l’assoluzione quasi non ne ha. Facciamo un po’ i conti.”

Durante Tangentopoli venne cavalcata troppo l’onda di sdegno e giustizialismo nei confronti di una classe politica che doveva molte risposte al Paese?

“Non venne cavalcata. Possiamo dire che l’onda venne proprio creata?”

Più o meno indirettamente, l’inchiesta che coinvolse in prima persona lei, Di Pietro e Davigo diede avvio a una “riforma etica” del nostro Paese. La seconda Repubblica sarebbe nata dalle ceneri della Prima accettando implicitamente la scommessa di questa riforma. Trent’anni dopo, la situazione complessiva e gli avvenimenti interni al Consiglio Superiore della Magistratura la intristiscono?

“Ho settantacinque anni, quindi mi sono intristito già abbastanza nella vita. Sono abbastanza vaccinato in questo senso. Oggi non so se la situazione sia peggiore o migliore di allora, anche tenendo conto delle notizie che riguardano la magistratura. Anche all’epoca noi investigammo sulla corruzione di non pochi giudici. Poi qualcuno è stato prescritto e per qualcuno i processi sono andati da un’altra parte. Ma di giudici condannati per corruzione in passato ce ne sono stati.
Va anche detta un’altra cosa: quando investigavo sulla P2 o sui fondi neri dell’Iri, alla fin fine è stata la magistratura che ha impedito che emergessero pratiche che avrebbero fatto scoprire Tangentopoli con una decina d’anni di anticipo. Non c’è niente di nuovo sotto il sole. Forse adesso, per lo meno, c’è un grande dibattito intorno a questi temi.”

La “sfida morale” andrebbe rilanciata?

“Il processo penale serve ad accertare la responsabilità delle persone, non a fare morale. Può, eventualmente, innescare un ripensamento etico. Io insisto molto sulla scuola, sull’educazione e sulla cultura perché se non riusciamo a capire il perché corrompere e farsi corrompere fa male agli altri e a se stessi, allora si continuerà a farlo.”

Si può dire che lei abbia sposato una filosofia diversa rispetto al passato, quella del “prevenire è meglio che curare”.

“Sì, ma perché mettendo in prigione la gente non la si cura. Il 70% delle persone che escono dal carcere poi ci rientrano, anche questa è una dimostrazione che il carcere non serve a curare. Se il 70% delle persone che entrano in ospedale uscissero all’interno di una bara, dovremmo ripensare dalle fondamenta il sistema della medicina.”

Oggi, a distanza di trent’anni, quale crede che possa essere considerato il lascito di Mani Pulite?

“Mani Pulite è stata la constatazione che quando i fenomeni sono così sistematici come lo era la corruzione in Italia, lo strumento per fronteggiarli non è l’azione penale. Questi fenomeni così diffusi vanno affrontati soprattutto a livello educativo.”

Articoli Correlati