Il vicedirettore di La Stampa ci è venuto a trovare lo scorso 21 febbraio, parlando di Ue, politica e giornalismo europeo
«L’Unione Europea è il paradigma perfetto della post-verità, perché, soprattutto a partire dagli anni ’90, si è reiterata un’emozione negativa nei suoi confronti: la stragrande maggioranza degli italiani è convinta che l’Europa sia una tirannia basata sull’austerità, il frutto del pensiero di un singolo pazzo. Tutto questo è falso, ma non c’è niente da fare». Con questa dichiarazione Marco Zatterin, vicedirettore di La Stampa e corrispondente a Bruxelles, apre l’incontro con gli allievi del Master in Giornalismo di Torino.
Marco Zatterin, quindi l’antieuropeismo è un concetto di pancia?
Sì. Se io spiego che non esiste l’eurocrate pazzo, colui che osteggia l’Europa mi accuserà di essere un servo dei “poteri forti”. Tutto questo porta alla delegittimazione dei fatti. La post-verità promuove il messaggio negativo: “L’Europa è tutta austerità”. Diventa difficile perfino far passare l’argomento più elementare in difesa dell’Ue, cioè il processo di integrazione e pace che ha permesso a me, a mio figlio, a voi di non andare in guerra, al contrario dei nostri nonni.
Come può il giornalismo europeo combattere la post-verità e difendere i valori dell’Ue?
Raccontando i fatti e cercando di far capire che questo è il modo migliore di andare avanti, se lo si crede. Certo, non è facile. La post-verità si afferma con le emozioni, non coi fatti. Non è importante che una cosa sia vera, ma che sia creduta. È una versione moderna della grande menzogna, quella che il regime nazista usò per convincere che gli ebrei erano cattivi, cioè la bugia ripetuta fino al punto di diventare verità.
Riassumendo: «Chi difende l’Europa fa parte dei poteri forti». Dal punto di vista giornalistico, come si rompe questo circolo vizioso?
Cercando di essere seri tutti i giorni, combattendo la non-verità coi fatti. Ad esempio, sento spesso dire: “Secondo Stiglitz l’euro non funziona”. Stiglitz è un economista importante, ma non ha la nostra cultura. Ci spiega, però, che non avremmo dovuto adottare l’euro.
Un altro economista contro l’euro è Bagnai, per cui senza la moneta unica saremmo più ricchi.
Perché quando nel 1992 la lira uscì dal sistema monetario, l’economia andava bene? È vero, ma ha funzionato nel 1992. Non solo sono passati 25 anni, ma è cambiato il mondo. Se l’Italia uscisse oggi dall’euro, avrebbe una piccola valuta satellite. Svaluteremmo, aumentando del 30-40% i costi di tutte le importazioni. E potremmo vendere ben poco. Insomma, bisogna spiegare che la verità è un’altra: l’euro non è stato costruito bene, ma ne abbiamo bisogno. Il problema è che solo il 10% degli italiani legge i giornali. Noi possiamo solo ribadire la verità, e sperare che basti.
E se non basta?
Siamo fregati. Possiamo difendere la nostra fortezza, ma se arrivano in 150mila contro ventitré, abbiamo perso. Succede nella vita di perdere. Ma non moriremo senza combattere (ride, ndr).
Passiamo al ruolo della carta stampata. Non rischia di diventare desueta di fronte all’immediatezza del web?
Il web non è un rivale, fa parte del giornale; è una sua manifestazione. Vi faccio l’esempio dell’elezione di Trump. Quella sera la redazione del cartaceo ha aspettato fino alle tre di notte. A un certo punto abbiamo capito che avrebbe vinto in Florida, ma non potevamo esserne certi, perché lo spoglio si era fermato al 95%. L’indomani, abbiamo sottolineato come Trump fosse sempre più vicino alla Casa Bianca. Non potevamo andare oltre, ma abbiamo dato un’idea al lettore. Ad ogni modo, per tutta la notte c’è stata la squadra che ha aggiornato il sito. Quindi siamo stati sempre coperti.
Il 2017 è l’anno delle elezioni in Europa, soprattutto per Francia e Germania. Cosa prevede?
È difficile fare previsioni politiche per chi l’anno scorso le ha sbagliate tutte. Ma ci provo comunque. Per quanto riguarda le elezioni francesi, la Le Pen potrà andare al ballottaggio ma probabilmente perderà al voto se gli altri si metteranno d’accordo; credo sia più facile che perda con Macron piuttosto che con Fillon. Ad ogni modo, ci sono possibilità che il Front National vinca. In Germania, il rientro di Schulz ha rafforzato il partito socialista, e la Alternative für Deutschland non dovrebbe dare grossi problemi, per cui possiamo immaginare una grossa coalizione che garantisca stabilità per i prossimi quattro anni.
E per quanto riguarda gli altri Paesi?
Tra pochi giorni si vota in Olanda, dove sarà difficile fare un governo, ma le forze non distruttive potranno ancora avere la maggioranza. In Italia, le elezioni renderanno ingovernabile il Paese, a prescindere da quando si terranno. Se non cambierà qualcosa, non avremo una coalizione normale. L’unica possibile è M5s-Lega. Certamente, questa confusione rallenterà i lavori dell’Unione e la ripresa del Paese.
Dal punto di vista economico, il 2017 porterà qualche cambiamento per l’Italia?
Credo proprio di no. Se cambierà qualcosa, sarà in peggio. L’anno clou per noi sarà il 2018. Se non centreremo determinati obiettivi fiscali sul rapporto deficit/Pil, saremo costretti a portare l’Iva al 25%. E se la aumenteremo di quattro punti in un anno, rischieremo di ammazzare i consumi. L’alternativa è fare una manovra da 25 miliardi, cioè il 2% del Pil. Non vi sto dando buone notizie, lo so: mettiamola così, nel 2018 uscirà anche il nuovo disco dei Pixies… (ride, ndr)