Zaki, l’Egitto e la non rivoluzione: 10 anni di cambiamenti per rimanere uguale

È intervenuto da remoto, con la speranza di poter tornare presto in Italia, finalmente da cittadino libero. Patrick Zaki, in collegamento dall’Egitto dove è ancora in attesa di giudizio, ha partecipato ieri sera al panel intitolato “I dieci anni che (non) hanno cambiato l’Egitto”. Relatrici dell’incontro tre profonde conoscitrici della realtà egiziana: Francesca Caferri, giornalista di Repubblica; Laura Cappon, giornalista Rai e autrice del libro “Patrick Zaki. Una storia egiziana” e Marina Petrillo, autrice del libro “Canto la piazza elettrica”, dedicato alle proteste del 2011 al Cairo che portarono al crollo del regime di Mubarak. Sembrava l’alba di un nuovo Egitto, ma nei dieci anni successivi le speranze di cambiamento si sono affievolite, come dimostrano i casi di Patrick Zaki e di Giulio Regeni.

Patrick, un bolognese d’Egitto

Arrivato a Bologna per un master in studi di genere nell’autunno 2019, Zaki si innamora subito della città e della sua squadra di calcio: “Il primo weekend aveva già preso i biglietti in curva per vedere Bologna-Spal”, racconta Laura Cappon. Difficile entrare nel cuore dei bolognesi dopo pochi mesi, ma non se sei Patrick. A febbraio del 2020 decide di tornare in Egitto per far visita ai suoi genitori, è l’inizio di un incubo che non è ancora finito. All’arrivo in aeroporto Zaki viene prelevato dagli agenti di sicurezza egiziani, che lo prendono in custodia. L’accusa è di minaccia alla sicurezza nazionale e di aver incitato illegalmente alle proteste contro il regime di Abdel Fattah al-Sisi, solo per aver scritto dei post su Facebook. La detenzione preventiva viene prolungata ogni 45 giorni in attesa della prima udienza del processo, che avviene un anno e mezzo dopo, il 14 settembre 2021. Solo dopo la terza udienza, il 7 dicembre, Patrick viene finalmente liberato, ma non potrà lasciare il Paese fino al termine del procedimento giudiziario, nel quale rischia fino a 25 anni di carcere. Ma ora è libero, e soprattutto è ancora vivo, e può raccontare la sua storia, nella speranza di un lieto fine.

Egitto: rivoluzione e ritorno

La sua storia è emblematica di questi ultimi dieci anni in Egitto: quando, sull’onda delle primavere arabe – nel 2011 le proteste di Piazza Tahrir al Cairo infiammavano il Paese e portarono alla destituzione di Hosni Mubarak – sembrava che sulle sponde del Nilo si affacciasse la democrazia. Ma dopo le prime elezioni libere, che nel 2012 hanno visto prevalere il candidato dei Fratelli Musulmani Mohammed Morsi, è presto tornata la repressione, con il colpo di stato militare del 2013 che ha deposto Morsi, sostituendolo con il generale al-Sisi.

Come mai la democrazia non è riuscita a fiorire in Egitto? Secondo Marina Petrillo, a giocare un ruolo decisivo è stata l’alta borghesia cittadina, impaurita dalla deriva islamista di Morsi che si poneva in netto contrasto con il loro stile di vita occidentale, fatto di ristoranti eleganti e club esclusivi. “Nei giorni della rivoluzione del 2011, mentre nelle strade esplodeva la rivolta, dalle vetrine degli alberghi aspettavano solo che la rivoluzione fallisse, e così è stato”. Uno status quo che i ricchi egiziani apprezzano, e che nemmeno i Paesi occidentali disdegnano, non rinunciando a fare affari con il regime di al-Sisi, chiudendo un occhio sulle continue violazioni dei diritti umani, che hanno portato alla morte di Giulio Regeni e all’arresto di Patrick Zaki. Ma quanto durerà? Laura Cappon vede un collegamento con la guerra in Ucraina: “L’Egitto importa la maggior parte del grano da Russia e Ucraina, questa guerra porterà sicuramente a una carenza dei beni alimentari. Il popolo purtroppo è abituato ad avere fame, ma sa questa crisi intaccherà anche i ceti alti della popolazione, il regime di al-Sisi inizierà a scricchiolare”.

Patrick si è collegato a sorpresa per il Festival Internazionale del Giornalismo per puntualizzare le difficoltà che attraversa la stampa libera in Egitto

I copti, una minoranza che ha abbandonato Zaki

In Egitto l’appartenenza a un determinata classe sociale o di reddito permette di avere protezione e diritti dal regime che si mostra spesso draconiano nell’applicare misure censorie. I copti, minoranza cristiana, sono una fazione di minoranza, che però protegge i propri membri. Marina Petrillo ha spiegato che il destino di Zaki è legato anche a loro. Patrick, di famiglia copta, non ha però ricevuto il sostegno di questa minoranza, se non per quanto riguarda la propria famiglia e i prori amici, e questo in virtù del suo lavoro di ricerca sugli studi di genere, profondamente osteggiato negli ambienti religiosi.

Patrick Zaki è un martire della ricerca, della libertà di opinione, della libertà di confessione e questo perché rende testimonianza di uno stato che, pur di non cambiare, in meno di un decennio ha cambiato volto tre volte.